Riprendo a scrivere qui e lo faccio con gioia. Non sapevo che farne di questo spazio: chiuderlo? renderlo privato? Invece vedo che qualcuno ancora passa di qua e, visto che qualcosa è successo, torno a usarlo.
Bene, per scrivere cosa?
Restare a casa per una influenza può essere una buona occasione. Non solo per gustare un po’ di meritato riposo, ma anche per studiare, portare a compimento un po’ di cose rimaste in sospeso e riflettere.
Una delle domande che mi sono posto è: perché non sto andando a teatro?
Da poco è cominciato il Festival delle colline e il mio interesse si è arenato alla lettura veloce del programma. Eppure è uno dei festival più importanti, è uno di quelli che rischia di chiudere. Come tanti luoghi di cultura in Italia.
Un motivo ci sarà alla depressione che mi coglie passando davanti alla biglietteria dei festival, che hanno aperto alla cavallerizza reale, o davanti al Teatro Carignano, o al Gobetti. Ma cos’è? Saranno gli sponsor? Il logo della fabbrica italiana automobili torino e quelli delle banche. Sarà che in questa primavera leggere gli appunti di V. Mejerchol’d su “Teatro e Rivoluzione” e poi andare a uno spettacolo che ha il logo della fiat stampato sul programma di sala mi fa orrore. Sarà che non è cosa, che la febbre e i dolori ai muscoli mi rendono nervoso.
Una settimana fa circa apro la casella di posta elettronica e trovo un messaggio che arriva dal blog dei Wu Ming. Ottimo, mi dico. Un po’ di aria buona.
E il post si è rivelato essere il tonico che mi ci voleva. Scritto da Luca aka Wu Ming 3 ha per titolo: Fùtbologia. La Rivoluzione rotola?
Fùtbologia è “un proclama, un appello, una minchiata, una promessa, un invito, un dài dài dài alla cazzo di cane, una richiesta d’aiuto. Una proposta di calcio totale alla depressione. Attacchiamo. Divertiamoci.” Da concretizzare in “un festival di tre giorni a Bologna per parlare con stile di calcio.”
Il mio primo pensiero è stato: bellissimo, voglio andare.
Il secondo: A far cosa? Perché? Non guardo una partita in TV da ormai 6 anni. Non so chi abbia vinto il campionato italiano degli ultimi 8 anni. Se mi mettono davanti una qualunque formazione senza nessuna indicazione, non so ricondurla a nessuna società.
Comunque, preso da un demonietto gioioso, mi sono messo a guardare su internet anche alcune partite dell’Europeo 2012.
Il tutto con leggero sbigottimento di mia moglie, che avrebbe giurato sulla mia totale indifferenza al giuoco calcio.
Da bambino tifavo Roma, quella del presidente Viola, quella di Falcao. Quella che se la giocava con l’odiata Juve (all’epoca non sapevo perché, l’ho capito più tardi il perché). Poi più niente, anche se quando gioca la Roma… Beh, è diverso.
Non gioco una partita vera da circa 20 anni. Era una semifinale di un torneo di calcetto, la ricordo bene, giocavo in difesa. Non arrivammo in finale e non segnai neppure un gol. Mi arrabbiai molto, anche questo lo ricordo bene. Perché se non vinci non vali niente. Non vale se ti diverti, vale se vinci. E questo mi fece cominciare a rendere odioso il paese in cui stavo crescendo. Ma questa è un’altra storia.
Dopo ci furono le partite in spiaggia fra amici e niente più calcio giocato. Niente tornei, niente partite il fine settimana. I miei amici andavano a giocare a pallone, io mi prendevo la racchetta da tennis e andavo ad allenarmi al campetto accanto.
Un altro episodio che ricordo bene è legata a un grosso vaffanculo detto a un tipo più grande e più grosso di me. Stavamo tornado a casa dopo la scuola, eravamo sul trenino che collega la metropoli Catanzaro al paesello. I mondiali Usa del 94 erano passati da poco e lui stava sparlando di Maradona. E no eh, Maradona non si tocca.
Dopodiché un costante, inarrestabile, allontanamento dal calcio. Ho continuato a seguire, con mio padre (che ha sempre religiosamente rispettato il rito domenicale di 90° minuto e Stadio Sprint) e mio fratello prima e con gli amici/coinquilini nel periodo universitario poi, alcune partite del campionato e i mondiali. Ma con poco entusiasmo.
L’unica squadra di cui ho fatto parte, dal 1998 al 2005, mi ha portato a giocare e sudare e divertirmi, anche nelle situazioni peggiori, in alcuni dei più importanti teatri italiani. L’allenamento quotidiano, lo spogliatoio, le tattiche ripetute fino alla nausea e i debutti davanti a decine e a volte centinaia di spettatori paganti l’ho vissuto con una squadra magnifica composta da donne e uomini generosi, atleti magnifici. A loro devo molto. Insieme vincemmo anche un prestigioso premio nazionale in quel di Sant’Arcangelo di Romagna (insieme a un altra squadra palermitana che poi divenne molto più famosa di noi, ma va bè anche questa è un’altra storia). Alle compagne e ai compagni di Teatro Rossosimona va la mia gratitudine, per avermi insegnato il gioco di squadra.
Tutto questo delirio per dire cosa. Per dire che Fùtbologia ha aperto un luogo di confronto e in tempo di crisi, in cui si è tentati di chiudersi a riccio e difendere il proprio piccolo spazio di sopravvivenza, è cosa lodevolissima. E la proposta di calcio totale alla depressione ha sortito in me l’effetto di farmi tornare in strada con gioia. Prendere in considerazione che anche in Teatro, così come nel calcio, i bei tempi non ci sono mai stati. Che è possibile fondare da basso una università del teatro, perché no? Che è possibile farlo. Che le oligarchie teatrali in Italia ci sono e continueranno a esserci e l’occasione per tirargli una bastonata sui denti bisogna sapersela creare. E poi coglierla e non sciuparla. Così come trovarsi da solo davanti al portiere, dopo un’azione ben costruita con un buon gioco di squadra.
Così, studiando fùtbologia, ho maturato la certezza che un giorno tornerò a giocare il mio gioco sulle assi di non so ora quale teatro.
Domani tornerò a quello che ora è il mio lavoro. Metterò nello zaino una copia di Calcio: 1898-2010 di John Foot. Leggerò qualche pagina durante la pausa. Farò un po’ di gradoni, come dicono i compagni di Fùtbologia.
Verrò a Bologna. Grazie Compadres.
Gli unici libri riconducibili al calcio che ho letto finora sono:
Io sono el Diego di Diego A. Maradona e Discorso su due piedi di C. Bene e E. Ghezzi