appunti

Appunti su Furore

Riprendo la pubblicazione di parti di Risto Reich che non sono rientrate nel volume che verrà pubblicato a fine febbraio (la data è cambiata per ragioni editoriali) da Alegre nella collana Working Class. Negli ultimi giorni mi sono chiesto se fosse il caso di pubblicare questa parte in particolare, visto che Furore non ha bisogno di una “recensione”. Poi ho deciso per il sì perché i “bastardi ingordi” contro cui Steinbeck scagliò il suo libro sono ancora lì a decidere della vita di milioni di persone; perché a distanza di neanche un secolo altri “bastardi ingordi” hanno stretto un legame ancora più stretto con altri bastardi che siedono dietro scrivanie di mogano al governo di diverse nazioni nel mondo; perché – alla fine – è il mio modo per ripagare un debito nei confronti di un libro che mi ha aiutato nella stesura di Risto Reich. Canetti scrisse “se fossi davvero uno scrittore dovrei essere capace di impedire la guerra”, questo per ribadire l’importanza delle parole per raccontare altre storie che liberino le persone, almeno un poco, e per confrontarmi a modo mio con questi cialtroni che ancora saltellano su palchetti tenendo il braccino teso. Attraverso le storie possiamo, questa è la mia convinzione, uscire dalla gabbia delle reazioni immediate “da social”. Mettere in moto i neuroni in modo diverso e così elaborare pensieri ed emozioni.

 “Bastardi ingordi” e “pezzi di merda mai morti”, come canta Giorgio Canali, ci stanno raccontando la loro storia di vincenti. Minimizzano o negano il riscaldamento globale, armano eserciti, fomentano guerre. Tramano e giocano per salvare i loro scagnozzi, come di recente è tristemente successo col “torturatore libico” tornato a casa su un volo di stato. Io sono convinto che, per quanto pericolosi, siano solo dei buffoni.

Ultima cosa: è ancora possibile sottoscrive l’abbonamento 10×110 di Alegre, i dettagli li trovate a questo link. Se siete interessati, potete già prenotare Risto Reich presso la vostra libreria di fiducia, ancora meglio se indipendente. Fate circolare le storie, soprattutto quelle resistenti.

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Sirius, una biografia

Per questo la morte è anche una linea di demarcazione così importante, è a partire dalla morte e dalla possibilità di essere morto che è possibile lasciar essere le cose così come sono … Dunque può l’uomo fare ciò in forma pura? … Nietzsche avrebbe detto di no: tutto è in prospettiva, il rapporto all’ente, anche il più “vero”, il più “oggettivo”, il più rispettoso dell’essenza di ciò che è così come è, è dentro un movimento che chiameremo qui del vivente, della vita, e da questo punto di vista, qualunque sia la differenza fra gli animali, resta un rapporto “animale”. … E non c’è un “in quanto tale” puro e semplice.

Jacques Derrida – L’animale che dunque sono – Rusconi 2006

Nove giorni dopo Gea, anche Sirius è andato via. Erano le cinque meno un quarto del pomeriggio del 3 gennaio 2025. È andato via e il vuoto ora è difficile da raccontare. Scrivendo di Gea ho scritto anche di Sirius, vale anche il contrario. Impossibile fare altrimenti, hanno fatto sempre tutto insieme, tranne nel periodo – fra giugno e agosto del 2011 – quando Gea era già con noi e Sirius ancora nel rifugio e ora questi ultimi nove giorni tra il 25 dicembre e il 3 gennaio. Giorni in cui abbiamo camminato sghembi, e in cui lui ha ricevuto un surplus di attenzioni e carezze che ha accettato con la pazienza e la rilassatezza di sempre. Aveva uno sguardo triste ma ci ha aiutati, per quanto ha potuto.

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Gea, una biografia

L’animale è lì prima di me, è lì presso di me, lì davanti a me – che lo seguo/sono dopo di lui. E dunque, essendo prima di me, eccolo dietro di me. Mi circonda. E dal momento che è lì davanti a me, può certamente farsi guardare, ma – e forse la filosofia lo dimentica – anche lui può guardarmi.

Jacques Derrida, L’animale che dunque sono, Rusconi, 2006

Il suo nome – Gea – lo scelse Roberta, lo trovai subito perfetto, niente da dire. Appena vidi la sua foto di cucciola mi innamorai, quando arrivò a casa dopo un volo da Lamezia a Torino fu un giorno di meraviglia continua. Davanti a me, che non avevo mai avuto a che fare con “un cane”, avevo una cucciola che si metteva seduta composta, col suo pancino senza peli, e mi guardava dritto negli occhi. Elegante e saggia. Ed io non avevo parole davanti a tanta bellezza. Sia Gea che Sirius ci hanno sempre guardato, e non sappiano cosa pensassero di noi. Solo ipotesi. Durante i primi giorni da cucciola a Torino la portavo accoccolata sul mio avambraccio quando si stancava di zampettare in giro, bastava per farla addormentare.

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Tagessuppe – Incursione in gelateria

Nell’articolo in cui annunciavo l’uscita a gennaio 2025 di Risto-Reich, anticipavo anche che avrei pubblicato materiale che, per motivi diversi, non è rientrato nel corpus del romanzo. Scrissi infatti che hanno a che fare con la materia viva che compone il romanzo. Fanno quindi parte a pieno titolo del progetto. Quella che segue è una riflessione su mondo della gelateria. Buona lettura.

 

Ho avuto colleghi che hanno lavorato in alcune gelaterie della città. Gelaterie di proprietari diversi, in luoghi diversi, ma tutte con la stessa modalità di trattamento dei dipendenti. Stessa concezione dei rapporti umani, quasi come se ci fosse un’unica, questa sì internazionale, direttiva aziendale. Il meraviglioso Made in Italy, apprezzato in tutto il mondo.

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foto quaderni Diario di zona

Una riflessione sulla chiusura di Quinto Tipo e sui dieci anni di Diario di zona

Due lustri però mi suona meglio. Un bel periodo di tempo, due lustri, in cui spazio se n’è percorso. Da Torino a Vienna, poco più di mille chilometri, una vita fa. Due città, due libri (ci arrivo), due lustri. Un pezzo di vita e due storie che hanno a che fare con questo spazio-tempo andato.

Il Diario di zona fu coraggiosamente pubblicato il 18 novembre 2014 da Alegre come primo volume della collana Quinto Tipo. Quale fosse l’intento della collana lo spiegò a suo tempo, in più modi e occasioni, Wu Ming 1. Da ieri si può leggere su Giap il bilancio insieme, ad un requiem e a un’autocritica su quella esperienza editoriale. Lo scrivo subito: nei confronti di Wu Ming 1 ho un debito di gratitudine, per aver dato a Diario di zona la possibilità d’esser pubblicato e letto, a me quella di esordire in una collana d’avanguardia. Ed è tantissimo, per una persona che muoveva i primi sgangherati passi nel meraviglioso mondo dell’editoria.

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Su un lupo in particolare

Nel capitolo V della Parte quarta del Tomo secondo dell’edizione Mondadori di Guerra e Pace, il conte Tolstoj ci racconta della battuta di caccia al lupo voluta da uno dei protagonisti del romanzo, il giovane conte Rostòv. Ai margini di una raduna, Nikolàj Rostòv segue i rumori della caccia e prega Dio che il lupo sbuchi davanti a lui così da poterlo catturare e godere di un po‘ di gloria. Tolstoj ci descrive l’attesa, l’atteggiamento di Rostòv e dei suoi cani e della totale mancanza di connessione con ciò che sta accadendo, nonostante siano lì per cacciare il lupo: quando „l’animale“ si presenta davanti al cacciatore e ai cani nessuno di loro è pronto all’incontro e il lupo – dopo aver guardato cani e cacciatore – riesce a passare oltre elegantemente senza problemi. Viene poi inseguito, braccato da cacciatori e cani a cui il lupo sfugge più volte, fin quando, sfinito, viene circondato e intrappolato. Soprattutto per merito di un cacciatore professionista, Danìla, che a un certo punto si lancia addirittura nel groviglio di zampe, fauci, pellicce e latrati e ingaggia un corpo a corpo col lupo. L‘animale umano, forte del suo essere in maggioranza, ha ragione del lupo: una macchina da guerra collettiva fatta di una concatenazione di umani/cavalli/cani e armi vince su un solo lupo. Uno solo.

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È giunto il momento, il piatto va portato in tavola

È arrivato per me il tempo di rompere il riserbo, di far entrare la cosa nel vivo: a fine gennaio 2025 uscirà per la casa editrice Alegre – nella collana Working Class diretta da Alberto Prunetti – il mio secondo romanzo: Risto Reich. In verità la cosa fu anticipata qualche mese fa da Wu Ming 1, in nota all’articolo su Giap in cui annunciava l’uscita dell’ultimo titolo della collana Quinto Tipo.

Risto-Reich è ambientato a Vienna, città in cui vivo con la mia famiglia da un po‘ di anni, in cui ho iniziato a lavorare come cameriere/barista. Per scrivere il romanzo ho attinto alla mia esperienza, ma non solo. Molto devo ai racconti di colleghe e colleghi con cui ho lavorato a stretto contatto per montagne di ore ogni mese tra il 2016 e il 2020, così come molto devo alla lettura di romanzi, saggi, articoli e opere di non fiction che hanno fatto lavorare la mia fantasia e creare connessioni. Più in là pubblicherò una bibliografia ragionata.

Risto-Reich è – come già il Diario di zona – un oggetto narrativo non identificato, ma la dimensione romanzesca è più marcata, il lato autobiografico ridotto. Mi piace pensarlo come un romanzo a più voci, in cui l’io del narratore diventi il punto da cui chi leggerà il libro potrà vedere e forse capire un po‘ di più della propria esperienza di cliente di un qualsiasi ristorante/pizzeria. Farsi un’idea di cosa vibri e viva oltre il bancone di un bar, dietro le porte di una cucina -quando mancano le telecamere di una TV; dietro il non detto di un o una lavoratrice davanti alla spocchia del solito callone di turno che si siede in sala; dietro le porte di un ufficio durante un colloquio di lavoro o al momento della firma del contratto – quando questo c’è –, mentre forze oscure premono tanto da curvare le pareti.

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Libri per un’estate grigia…

… di un anno non meno grigio, nonché infuocato. Mentre continua la gara di rutti da parte di alcuni politici intorno a ciò che è accaduto pochi giorni fa in Francia, grazie ad una atleta algerina; mentre assessori cresciuti mangiando a piene mani la cioccolata fumante dai calderoni delle ville di Salò invocano la “soluzione Mengele”, sempre in relazione all’algerina che mena l’italiana facendo scorrere patrie lacrime; mentre – dunque – la mediocrità impera, a differenza degli scorsi anni e con l’augurio che sia solo a causa dell’ennesimo stato di eccezione, mi permetto di dare un paio di consigli di lettura per l’agosto appena iniziato. Mese in cui – è agosto, benedizione! – se ci sarà qualche nefandezza da approvare d’urgenza in parlamento lo si farà e il peggio sarà fatto. Nel giorno in cui ricorre l’attentato fascista alla stazione di Bologna e gli eredi di tutta quella bella gente vestita da buffoni mandano in giro la foto della strage con firma autenticata in calce a suddetta foto, come fosse una rivendicazione, del tutto non richiesta, ma necessaria, scrivo una piccola lista di libri – alcuni freschi di stampa altri meno – da recuperare e leggere „sotto l’ombrellone“, fra un tuffo e un gelato, per ricaricarsi e sgombrare i neuroni da un po‘ di minchiate:

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Intorno a La vera storia della banda Hood

Quando scrivo di un romanzo che mi è piaciuto, la cosa che temo di più è rovinare la sorpresa di chi ancora non ha letto il libro in questione. In poche parole “fare spoiler”. Mi è capitato di mettere l’avviso, ma resta una cosa antipatica, sia fare spoiler che evitare alcuni percorsi per timore di svelare troppo. Ad ogni modo il libro La vera storia della banda Hood è un libro prezioso, che racconta una storia che non ci si stanca mai di rileggere e riascoltare e che è – allo stesso tempo – una bella riscrittura del mito: quello di Robin Hood e dei suoi allegri compari, per restare alla vulgata delle trasposizioni cinematografiche. Il mito di Robin Hood è intrecciato con il desiderio di giustizia, e vendetta. E il motto di rubare a ricchi per dare ai poveri viene subito in mente, a chiunque conosca la storia. Quindi nel momento in cui ho saputo dell’imminente uscita del libro di Wu ming 4, le mie antenne di lettore si sono subito attivate.

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Appunti su Canzoniere storto

Scrivere poesie è una delle cose più difficili da fare, pericolosa anche. Fa un po’ tristezza vedere che di questi tempi gli si dia poca importanza. Almeno così mi pare, anche se in musica – nel rap ad esempio – si scrive facendo attenzione alla rima, al ritmo quantomeno. Ma è un altro discorso. A ogni modo, se c’è chi non legge, non ascolta, non si cura della poesia, beh allora – mi dico – non sa cosa si perde e se ha anche una opinione in merito, non sa di cosa sta parlando. Perché se è vero che il linguaggio è lo strumento più potente fra gli strumenti creati dall’animale umano, la poesia è lavoro con e sul linguaggio. Lavoro svolto per andare oltre l’apparenza del mondo, per far emergere quantomeno un minimo di senso dal quotidiano, per creare momenti di svelamento e meraviglia, per risignificare il mondo. E si potrebbe andare avanti. La cosa fondamentale è prendere atto che mentre il linguaggio – lo strumento per eccellenza – viene banalizzato dai media, dai giornali ai social network, c’è chi se ne prende ancora cura. Ho letto la raccolta di poesie Canzoniere storto di Ernesto Orrico, e dire che mi è piaciuta è poco e non rende giustizia al lavoro di scrittura. Così ho messo un po’ d’ordine fra gli appunti presi negli ultimi due mesi, più o meno, mentre viaggiavo tra casa, lavoro e l’istituto di lingue dove sto frequentando un altro corso di tedesco, spesso mentre ero immerso nella lettura – e rilettura – del libro di poesie di Ernesto, oppure quando il libro era via tra gli altri nella borsa mentre camminavo per le strade della mia città e arrivavano i ricordi, le giustapposizioni, i collegamenti fra libri, voci, suoni e versi di materia e memoria presente, viva, pulsante. E perciò mi fermavo per fissare su carta alcune frasi, che riporto ora su questo supporto inconsistente.

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