YAMUNIN

Luigi Chiarella

Risto Reich – Calendario delle prime presentazioni

Risto Reich è uscito in libreria poco più di un mese fa e ora è arrivato il momento di mettersi in viaggio per fare un po’ di presentazioni. Dopo anni di dialoghi a distanza con l’Italia, è ora di incontrare persone in carne e ossa. Dopo il trauma da pandemia Covid e relative misure restrittive, confinamenti e distanziamenti fisici, che hanno provocato fratture sociali, ammetto che per me non è proprio facilissimo tornare a parlare in pubblico. Anche se non ho mai smesso di lavorare fra le persone. È tutto piuttosto bizzarro, ma va così. Sarà – credo – sintomo di qualcosa che negli anni scorsi non ha funzionato proprio bene, e non mi pare se ne stia parlando. A ogni modo, sarà bello incontrare e poter parlare con chi ha già letto il libro o chi vuole scoprire perché, nella marea di libri che vengono pubblicati ogni anno, dovrebbe leggere proprio Risto Reich.

La prima occasione sarà il 5 aprile alle 15:00 al Festival di Letteratura Working Class, presso la GKN di Campi Bisenzio, dove participerò al panel “Scrivere servendo fra i tavoli” con Daria Bogdanska e Filippo La Porta.

 

Gli altri appuntamenti di aprile sono:

Lunedì 7:

Massa, ore 18 libreria Melville, via P.A. Guglielmi 6

 

Martedì 8:

Ferrara, in dialogo con Sandro Abruzzese, ore 18:00, libreria Ubik, via S. Romano 43

 

Mercoledì 9:

Trento, in dialogo con Federico Zappini, ore 18:00, libreria Due Punti, via San Martino 78

 

Lunedì 28:

Vienna, in dialogo con Silvia Chiarini e Bruno Ciccaglione, ore 19:30, Buchhandlunglist, Porzellangasse 36

 

Ci si incontra per strada

 

Tagessuppe – il ginocchio del pasticcere

La scena che segue non è rientrata in Risto Reich, ma fa parte del malloppo di appunti che ho preso negli anni. Visto il clima di guerra che sta montando nel mondo ho avuto un ulteriore rigurgito antimilitarista e ho pensato fosse giusto tirare fuori questi appunti e pubblicarli. Fino ieri pensavo di integrarli nell’articolo che ho in bozza, in cui tratto alcuni casi di soprusi, violenze e aggressioni fisiche e sessuali che hanno occupato le pagine dei giornali austriaci nei mesi scorsi, ma sarebbe venuto fuori un pezzo davvero troppo lungo. Perciò eccoli qua, buona lettura:

Stavamo lavorando in cucina, lui impegnato a preparare la crema per una torta di compleanno per trenta persone, io a lavare teglie e piatti in un lavandino enorme. Lavoravamo e parlavamo del più e del meno, così si dice, del passato, di ciò che avevamo fatto nelle vite ‘precedenti’ al ritrovarsi lì – in una cucina a Vienna – lui con le mani in pasta io di turno a lavare piatti incrostati da pomodoro e resti della crema di Carbonara. E lui, mentre parlavamo di rimettersi in forma dopo mesi passati a mangiare pasta a pranzo e cena, lui mi fa “sai sono stato arruolato nelle forze speciali”, o qualcosa del genere, non ricordo in quale corpo, “e gareggiavo nella squadra di arti marziali”. Mi racconta delle gare, degli allenamenti e sì, mi dice lui, “possiamo trovarci in un parco quando vuoi e ci rimettiamo in forma”. Lui è anche cintura nera di non so più quanti dan di karate. Con una punta di orgoglio mi dice “devo stare molto attento a quello che faccio perché io sono come un’arma”. Ad ogni modo sono benvenuto, se voglio allenarmi con lui posso farlo ma dobbiamo essere regolari, mi fa, e metterci un po’ a dieta: al massimo sessanta grammi di pasta, verdura, niente dolci, niente alcol… Ok, faccio io, dai. E poi inizio a fare domande, perché mi interessa il fatto che sia stato in un corpo speciale, per scelta. A me – che da ragazzo feci obiezione di coscienza, che avevo iniziato a fare teatro leggendo di The Brick del Living Theatre e letto non solo Howl di Ginsberg ma anche la testimonianza al processo di Chicago, a me – antimilitarista – interessa capire qualcosa di più della vita militare e quindi la prendo larga e chiedo: e come mai hai smesso di gareggiare? Lui afferra l’enorme ciotola con le uova, il latte e la vaniglia e con un cucchiaio enorme inizia a mescolare gli ingredienti. Inizia a far girare e i muscoli delle braccia si tendono e lo sguardo è fisso al centro dell’impasto e inizia a raccontare:

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due righe sullo sciopero delle libraie e dei librai Feltrinelli

Due giorni fa c’è stato lo sciopero nazionale dei e delle dipendenti delle librerie Feltrinelli. Hanno incrociato le braccia per ottenere l’aumento di €1.50 del buono pasto. Ma dalle risposte all’intervista che Salvatore Cannavò su Jacobin Italia ha fatto a uno di loro si capisce che il problema è più ampio. In sostanza uno dei lavori più belli, quello del libraio, viene piegato per essere un venditore di merce. Della merce/libro, il resto non sembra conti molto. Mentre scrivo mi viene da pensare “chissà che non si arrivi in futuro anche a poter fare uno sciopero nel settore della ristorazione, in cui ognuno è per se. In balia di ritmi e dinamiche di potere in un ambiente che di fatto non ha tutele.” Ma ci sarebbe anche da fare un lavoro di coesione fra le persone che lavorano nel settore, intanto fra i librai delle Feltrinelli questo riconoscersi esiste. E anche questo non è poi poca cosa.

Da anni mi capita di entrare in una libreria di catene (Feltrinelli, Mondadori, Giunti) e molto raramente uscirne con un libro. E il motivo non sta certo nella quantità di libri a disposizione o nella cortesia delle persone che ci lavorano, ma perché il codice con cui sono stati composti gli scaffali non ha niente di accogliente. È una esposizione di oggetti da vendere, mentre io sono entrato lì per incontrare libri e magari una persona che abbia la possibilità di farmene incontrare uno. E questo un libraio o una libraia lo sa: perché ci vuole una certa *cura* per tenere i libri in una libreria. Non tanto efficienza e competitività. Per questo preferisco di gran lunga le librerie indipendenti. Ma questo forse è un altro discorso.

Ho lavorato come libraio in una piccola libreria di Torino anni fa, ero pagato poco, ma il lavoro mi piaceva e mi permetteva di entrare in relazione con le persone in un modo bello. Sentivo di star svolgendo un lavoro che aveva una sua importanza in quella dinamica che è la circolazione della cultura. Anche per questo motivo do la mia solidarietà di scrittore ai librai delle librerie Feltrinelli. Soprattutto in un periodo in cui si legge poco, si acquista poco, il ruolo dei e delle libraie tutt* è fondamentale. Il loro sciopero è stato quindi un atto importante, spero continui la lotta affinché le loro condizioni di lavoro migliorino, e non mi riferisco solo all’aumento di €1,50 ma anche a tutti i punti toccati nell’intervista su Jacobin. Affinché anche al loro lavoro venga riconosciuta la dignità che indubbiamente ha.

 

 

Piccola rassegna stampa a meno di un mese dall’uscita di Risto Reich

 

Sul quotidiano Il Quotidiano è uscito ieri, lunedì 17 marzo, un bell’articolo scritto da Lorenzo Guadagnucci dal titolo Operai, camerieri e altri scrittori in Festival in cui segnala la prossima edizione del Festival Working Class – dal 4 al 5 aprile a Campi Bisenzio – e scrive bene sia di Risto Reich che del libro Malesangue di Raffaele Cataldi.

 

Di seguito ho copiato e incollato, per comodità e archivio, la parte dedicata a Risto Reich:

 

Tutt’altro stile – più letterario, più fantasioso, più scanzonato – troviamo in Risto Reich, un romanzo d’avventura nel movimentato mondo della ristorazione italiana nella città di Vienna, un viaggio compiuto da un insolito autore, Luigi Chiarella, cameriere per necessità, ma autore e promotore di teatro per vocazione. Capitolo dopo capitolo, Chiarella* racconta con una certa leggerezza la vera vita dei camerieri – oppressi, sfruttati, sfibrati da condizioni e ritmi di lavoro che forse sfuggono ai più – e sono scene gustose, scritte con ironia, senza mai scendere nel patetico e anche senza cadere nell’autocommiserazione. Dentro ristoranti e pizzerie si vivono relazioni e scontri di potere al calor bianco, appena mistificati dalla necessità d’essere cortesi e ben disposti verso la clientela, con la conseguente aggiunta di sofferenza (e insofferenza) emotiva. Risto Reich è un romanzo di autentica letteratura working class, opera di un autore con buone letture alle spalle e un’evidente disinvoltura nel “tenere la penna in mano”; la classe operaia, come si diceva, comprende anche buona parte del ceto intellettuale e Risto Reich ne è una buona rappresentazione.

 

A inizio marzo era uscita una segnalazione su Milano Today in cui Risto Reich è inserito nei dieci magnifici libri da leggere a Marzo, la strigatissima motivazione di Maurizio Pratelli recita:

 

Da leggere perché. Nulla di più attuale

 

 

*(ho corretto in quel punto un refuso che si trova nell’articolo)

su qualche riga vergata da Scurati

Gli appunti che seguono li ho scritti di getto stamattina sul mio profilo facebook, cosa che non faccio da anni “scrivere su facebook”. Così le ho cancellate e le riscrivo qua, che è il posto giusto:
Ieri ho letto un pezzetto dell’articolo di Scurati, la parte che va da “Omero e Junger” a “destini individuali e collettivi”. Niente di più, non ho accesso al giornale. Il poco che ho letto mi ha suscitato imbarazzo e una certa nausea (la sacrosanta nausea) per l’accozzaglia di generalizzazioni tossiche contenute già solo in poche righe in cui si vuole “la nostra civiltà” fondata nel combattimento armato frontale. La meraviglia di vedere tutta questa voglia e ansia di pugna eroica in maschi panzoni ultracinquantenni a cui manca – manca del tutto – di vedere che nell’Iliade – visto che si tira in ballo Omero – sono tutti descritti come poveri idioti ridotti a cose. La tanto amata “forza” riduce tutti a cose che si spezzano, squarciano, frantumano e finiscono nella polvere. Fine: non c’è nessuna gloria, nessuna bellezza, niente. E ancora tirano in ballo “pensatori” nazionalisti e militaristi per giustificare cosa? la voglia di che? Di guerra? Ma che s’ammazzassero fra loro e bona lè, come canta bob dylan si stara a seguire le bare giusto per assicurarci che siano morti per bene e finiscano sottoterra.
Consiglio la lettura o rilettura delle opere di Margaret Atwood, Barbara Hamby, Hilda Doolitle, Judith Kazantzis, Louise Glück, Simone Weil per ridimensionare e disinnescare queste tirate tossiche e guerrafondaie.
Chiudevo così il post e nel frattempo Luca Casarotti ha avuto il tempo e il modo di analizzare e disinnescare in questo articolo – pubblicato su Jacobin italia – le parole di Scurati.

Risto Reich in libreria, finalmente

Ho la data ufficiale: Risto Reich – libro in cui racconto “il lavoro del cameriere” nel meraviglioso mondo della ristorazione italiana – uscirà il 21 febbraio prossimo nella collana working class di Alegre. Lo stesso giorno la band norvegese Motorpsycho pubblicherà il nuovo album e questa sonica coincidenza mi fa piacere. Risto Reich è un libro antifascista e working class, ed è pieno di musica. Forse più di Diario di zona.

Informazioni sul romanzo e brani che non sono rientrati nella versione definitiva sono disponibili a partire da questo link. Chi vuole può preordinarlo già nella libreria di fiducia, cosa che darebbe una mano alle librerie indipendenti, al libro stesso, alla casa editrice e anche a me. Per chi vive a Vienna ricordo la Buchhandlunglist nella Porzellangasse, per chi preferisce ordinare on line – o non ha una libreria di riferimento in zona – consiglio lo store Bookdealer (con questa scelta ci si rivolge a una libreria indipendente, ed è cosa giusta).

La copertina, sempre opera di Antonio Pronostico come per tutte le altre dei libri della collana, la potrò pubblicare prossimamente. Dico solo che è molto molto bella.

Ci sono già alcune ipotesi di presentazione in Italia, darò qualche dettaglio in più nei prossimi giorni.

Ricordo anche che ad aprile ci sarà la terza edizione del festival working class presso la ex fabbrica GKN di Campi Bisenzio, il titolo di quest‘anno è Noi saremo tutto. Stesso titolo di un gran libro del magister Evangelisti, e qualcosa vorrà pur dire. Ci tengo a precisare che il festival va sostenuto e difeso e a questo link si può partecipare con una donazione alla raccolta fondi. Basta poco.

 

Risto Reich sta arrivando, non ci vorrà quanto c’è voluto

Appunti su Furore

Riprendo la pubblicazione di parti di Risto Reich che non sono rientrate nel volume che verrà pubblicato a fine febbraio (la data è cambiata per ragioni editoriali) da Alegre nella collana Working Class. Negli ultimi giorni mi sono chiesto se fosse il caso di pubblicare questa parte in particolare, visto che Furore non ha bisogno di una “recensione”. Poi ho deciso per il sì perché i “bastardi ingordi” contro cui Steinbeck scagliò il suo libro sono ancora lì a decidere della vita di milioni di persone; perché a distanza di neanche un secolo altri “bastardi ingordi” hanno stretto un legame ancora più stretto con altri bastardi che siedono dietro scrivanie di mogano al governo di diverse nazioni nel mondo; perché – alla fine – è il mio modo per ripagare un debito nei confronti di un libro che mi ha aiutato nella stesura di Risto Reich. Canetti scrisse “se fossi davvero uno scrittore dovrei essere capace di impedire la guerra”, questo per ribadire l’importanza delle parole per raccontare altre storie che liberino le persone, almeno un poco, e per confrontarmi a modo mio con questi cialtroni che ancora saltellano su palchetti tenendo il braccino teso. Attraverso le storie possiamo, questa è la mia convinzione, uscire dalla gabbia delle reazioni immediate “da social”. Mettere in moto i neuroni in modo diverso e così elaborare pensieri ed emozioni.

 “Bastardi ingordi” e “pezzi di merda mai morti”, come canta Giorgio Canali, ci stanno raccontando la loro storia di vincenti. Minimizzano o negano il riscaldamento globale, armano eserciti, fomentano guerre. Tramano e giocano per salvare i loro scagnozzi, come di recente è tristemente successo col “torturatore libico” tornato a casa su un volo di stato. Io sono convinto che, per quanto pericolosi, siano solo dei buffoni.

Ultima cosa: è ancora possibile sottoscrive l’abbonamento 10×110 di Alegre, i dettagli li trovate a questo link. Se siete interessati, potete già prenotare Risto Reich presso la vostra libreria di fiducia, ancora meglio se indipendente. Fate circolare le storie, soprattutto quelle resistenti.

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Sirius, una biografia

Per questo la morte è anche una linea di demarcazione così importante, è a partire dalla morte e dalla possibilità di essere morto che è possibile lasciar essere le cose così come sono … Dunque può l’uomo fare ciò in forma pura? … Nietzsche avrebbe detto di no: tutto è in prospettiva, il rapporto all’ente, anche il più “vero”, il più “oggettivo”, il più rispettoso dell’essenza di ciò che è così come è, è dentro un movimento che chiameremo qui del vivente, della vita, e da questo punto di vista, qualunque sia la differenza fra gli animali, resta un rapporto “animale”. … E non c’è un “in quanto tale” puro e semplice.

Jacques Derrida – L’animale che dunque sono – Rusconi 2006

Nove giorni dopo Gea, anche Sirius è andato via. Erano le cinque meno un quarto del pomeriggio del 3 gennaio 2025. È andato via e il vuoto ora è difficile da raccontare. Scrivendo di Gea ho scritto anche di Sirius, vale anche il contrario. Impossibile fare altrimenti, hanno fatto sempre tutto insieme, tranne nel periodo – fra giugno e agosto del 2011 – quando Gea era già con noi e Sirius ancora nel rifugio e ora questi ultimi nove giorni tra il 25 dicembre e il 3 gennaio. Giorni in cui abbiamo camminato sghembi, e in cui lui ha ricevuto un surplus di attenzioni e carezze che ha accettato con la pazienza e la rilassatezza di sempre. Aveva uno sguardo triste ma ci ha aiutati, per quanto ha potuto.

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Gea, una biografia

L’animale è lì prima di me, è lì presso di me, lì davanti a me – che lo seguo/sono dopo di lui. E dunque, essendo prima di me, eccolo dietro di me. Mi circonda. E dal momento che è lì davanti a me, può certamente farsi guardare, ma – e forse la filosofia lo dimentica – anche lui può guardarmi.

Jacques Derrida, L’animale che dunque sono, Rusconi, 2006

Il suo nome – Gea – lo scelse Roberta, lo trovai subito perfetto, niente da dire. Appena vidi la sua foto di cucciola mi innamorai, quando arrivò a casa dopo un volo da Lamezia a Torino fu un giorno di meraviglia continua. Davanti a me, che non avevo mai avuto a che fare con “un cane”, avevo una cucciola che si metteva seduta composta, col suo pancino senza peli, e mi guardava dritto negli occhi. Elegante e saggia. Ed io non avevo parole davanti a tanta bellezza. Sia Gea che Sirius ci hanno sempre guardato, e non sappiano cosa pensassero di noi. Solo ipotesi. Durante i primi giorni da cucciola a Torino la portavo accoccolata sul mio avambraccio quando si stancava di zampettare in giro, bastava per farla addormentare.

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Tagessuppe – Incursione in gelateria

Nell’articolo in cui annunciavo l’uscita a gennaio 2025 di Risto-Reich, anticipavo anche che avrei pubblicato materiale che, per motivi diversi, non è rientrato nel corpus del romanzo. Scrissi infatti che hanno a che fare con la materia viva che compone il romanzo. Fanno quindi parte a pieno titolo del progetto. Quella che segue è una riflessione su mondo della gelateria. Buona lettura.

 

Ho avuto colleghi che hanno lavorato in alcune gelaterie della città. Gelaterie di proprietari diversi, in luoghi diversi, ma tutte con la stessa modalità di trattamento dei dipendenti. Stessa concezione dei rapporti umani, quasi come se ci fosse un’unica, questa sì internazionale, direttiva aziendale. Il meraviglioso Made in Italy, apprezzato in tutto il mondo.

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foto quaderni Diario di zona

Una riflessione sulla chiusura di Quinto Tipo e sui dieci anni di Diario di zona

Due lustri però mi suona meglio. Un bel periodo di tempo, due lustri, in cui spazio se n’è percorso. Da Torino a Vienna, poco più di mille chilometri, una vita fa. Due città, due libri (ci arrivo), due lustri. Un pezzo di vita e due storie che hanno a che fare con questo spazio-tempo andato.

Il Diario di zona fu coraggiosamente pubblicato il 18 novembre 2014 da Alegre come primo volume della collana Quinto Tipo. Quale fosse l’intento della collana lo spiegò a suo tempo, in più modi e occasioni, Wu Ming 1. Da ieri si può leggere su Giap il bilancio insieme, ad un requiem e a un’autocritica su quella esperienza editoriale. Lo scrivo subito: nei confronti di Wu Ming 1 ho un debito di gratitudine, per aver dato a Diario di zona la possibilità d’esser pubblicato e letto, a me quella di esordire in una collana d’avanguardia. Ed è tantissimo, per una persona che muoveva i primi sgangherati passi nel meraviglioso mondo dell’editoria.

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Su un lupo in particolare

Nel capitolo V della Parte quarta del Tomo secondo dell’edizione Mondadori di Guerra e Pace, il conte Tolstoj ci racconta della battuta di caccia al lupo voluta da uno dei protagonisti del romanzo, il giovane conte Rostòv. Ai margini di una raduna, Nikolàj Rostòv segue i rumori della caccia e prega Dio che il lupo sbuchi davanti a lui così da poterlo catturare e godere di un po‘ di gloria. Tolstoj ci descrive l’attesa, l’atteggiamento di Rostòv e dei suoi cani e della totale mancanza di connessione con ciò che sta accadendo, nonostante siano lì per cacciare il lupo: quando „l’animale“ si presenta davanti al cacciatore e ai cani nessuno di loro è pronto all’incontro e il lupo – dopo aver guardato cani e cacciatore – riesce a passare oltre elegantemente senza problemi. Viene poi inseguito, braccato da cacciatori e cani a cui il lupo sfugge più volte, fin quando, sfinito, viene circondato e intrappolato. Soprattutto per merito di un cacciatore professionista, Danìla, che a un certo punto si lancia addirittura nel groviglio di zampe, fauci, pellicce e latrati e ingaggia un corpo a corpo col lupo. L‘animale umano, forte del suo essere in maggioranza, ha ragione del lupo: una macchina da guerra collettiva fatta di una concatenazione di umani/cavalli/cani e armi vince su un solo lupo. Uno solo.

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È giunto il momento, il piatto va portato in tavola

È arrivato per me il tempo di rompere il riserbo, di far entrare la cosa nel vivo: a fine gennaio 2025 uscirà per la casa editrice Alegre – nella collana Working Class diretta da Alberto Prunetti – il mio secondo romanzo: Risto Reich. In verità la cosa fu anticipata qualche mese fa da Wu Ming 1, in nota all’articolo su Giap in cui annunciava l’uscita dell’ultimo titolo della collana Quinto Tipo.

Risto-Reich è ambientato a Vienna, città in cui vivo con la mia famiglia da un po‘ di anni, in cui ho iniziato a lavorare come cameriere/barista. Per scrivere il romanzo ho attinto alla mia esperienza, ma non solo. Molto devo ai racconti di colleghe e colleghi con cui ho lavorato a stretto contatto per montagne di ore ogni mese tra il 2016 e il 2020, così come molto devo alla lettura di romanzi, saggi, articoli e opere di non fiction che hanno fatto lavorare la mia fantasia e creare connessioni. Più in là pubblicherò una bibliografia ragionata.

Risto-Reich è – come già il Diario di zona – un oggetto narrativo non identificato, ma la dimensione romanzesca è più marcata, il lato autobiografico ridotto. Mi piace pensarlo come un romanzo a più voci, in cui l’io del narratore diventi il punto da cui chi leggerà il libro potrà vedere e forse capire un po‘ di più della propria esperienza di cliente di un qualsiasi ristorante/pizzeria. Farsi un’idea di cosa vibri e viva oltre il bancone di un bar, dietro le porte di una cucina -quando mancano le telecamere di una TV; dietro il non detto di un o una lavoratrice davanti alla spocchia del solito callone di turno che si siede in sala; dietro le porte di un ufficio durante un colloquio di lavoro o al momento della firma del contratto – quando questo c’è –, mentre forze oscure premono tanto da curvare le pareti.

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Libri per un’estate grigia…

… di un anno non meno grigio, nonché infuocato. Mentre continua la gara di rutti da parte di alcuni politici intorno a ciò che è accaduto pochi giorni fa in Francia, grazie ad una atleta algerina; mentre assessori cresciuti mangiando a piene mani la cioccolata fumante dai calderoni delle ville di Salò invocano la “soluzione Mengele”, sempre in relazione all’algerina che mena l’italiana facendo scorrere patrie lacrime; mentre – dunque – la mediocrità impera, a differenza degli scorsi anni e con l’augurio che sia solo a causa dell’ennesimo stato di eccezione, mi permetto di dare un paio di consigli di lettura per l’agosto appena iniziato. Mese in cui – è agosto, benedizione! – se ci sarà qualche nefandezza da approvare d’urgenza in parlamento lo si farà e il peggio sarà fatto. Nel giorno in cui ricorre l’attentato fascista alla stazione di Bologna e gli eredi di tutta quella bella gente vestita da buffoni mandano in giro la foto della strage con firma autenticata in calce a suddetta foto, come fosse una rivendicazione, del tutto non richiesta, ma necessaria, scrivo una piccola lista di libri – alcuni freschi di stampa altri meno – da recuperare e leggere „sotto l’ombrellone“, fra un tuffo e un gelato, per ricaricarsi e sgombrare i neuroni da un po‘ di minchiate:

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Intorno a La vera storia della banda Hood

Quando scrivo di un romanzo che mi è piaciuto, la cosa che temo di più è rovinare la sorpresa di chi ancora non ha letto il libro in questione. In poche parole “fare spoiler”. Mi è capitato di mettere l’avviso, ma resta una cosa antipatica, sia fare spoiler che evitare alcuni percorsi per timore di svelare troppo. Ad ogni modo il libro La vera storia della banda Hood è un libro prezioso, che racconta una storia che non ci si stanca mai di rileggere e riascoltare e che è – allo stesso tempo – una bella riscrittura del mito: quello di Robin Hood e dei suoi allegri compari, per restare alla vulgata delle trasposizioni cinematografiche. Il mito di Robin Hood è intrecciato con il desiderio di giustizia, e vendetta. E il motto di rubare a ricchi per dare ai poveri viene subito in mente, a chiunque conosca la storia. Quindi nel momento in cui ho saputo dell’imminente uscita del libro di Wu ming 4, le mie antenne di lettore si sono subito attivate.

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Appunti su Canzoniere storto

Scrivere poesie è una delle cose più difficili da fare, pericolosa anche. Fa un po’ tristezza vedere che di questi tempi gli si dia poca importanza. Almeno così mi pare, anche se in musica – nel rap ad esempio – si scrive facendo attenzione alla rima, al ritmo quantomeno. Ma è un altro discorso. A ogni modo, se c’è chi non legge, non ascolta, non si cura della poesia, beh allora – mi dico – non sa cosa si perde e se ha anche una opinione in merito, non sa di cosa sta parlando. Perché se è vero che il linguaggio è lo strumento più potente fra gli strumenti creati dall’animale umano, la poesia è lavoro con e sul linguaggio. Lavoro svolto per andare oltre l’apparenza del mondo, per far emergere quantomeno un minimo di senso dal quotidiano, per creare momenti di svelamento e meraviglia, per risignificare il mondo. E si potrebbe andare avanti. La cosa fondamentale è prendere atto che mentre il linguaggio – lo strumento per eccellenza – viene banalizzato dai media, dai giornali ai social network, c’è chi se ne prende ancora cura. Ho letto la raccolta di poesie Canzoniere storto di Ernesto Orrico, e dire che mi è piaciuta è poco e non rende giustizia al lavoro di scrittura. Così ho messo un po’ d’ordine fra gli appunti presi negli ultimi due mesi, più o meno, mentre viaggiavo tra casa, lavoro e l’istituto di lingue dove sto frequentando un altro corso di tedesco, spesso mentre ero immerso nella lettura – e rilettura – del libro di poesie di Ernesto, oppure quando il libro era via tra gli altri nella borsa mentre camminavo per le strade della mia città e arrivavano i ricordi, le giustapposizioni, i collegamenti fra libri, voci, suoni e versi di materia e memoria presente, viva, pulsante. E perciò mi fermavo per fissare su carta alcune frasi, che riporto ora su questo supporto inconsistente.

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P38 Gang – una riflessione

  “La libertà di filosofare e di dire ciò che sentiamo: difendere la libertà in ogni modo, libertà che è in ogni modo compromessa dall’eccessiva autorità e invadenza dei predicatori” – Spinoza

 

Cosa fa il rap, come spiegarlo ai bianchi?

La musica rap ha una storia lunga qualche decennio – dagli anni ’80 del 900 – e le sue origini affondano nelle profondità della cultura nera americana. Nel 1989 uscì il libro Signifyng Rapper (traduzione italiana: Il rap spiegato ai bianchi, ed. minimumfax, 2000) di D.F. Wallace e M. Costello, in cui i due autori tentavano di dare una spiegazione articolata del fenomeno del rap/hip hop. Il libro è ancora attuale pur restando un’opera fortemente legata al periodo storico in cui fu scritta e uno dei punti focali è che la musica rap è musica di strada e racconta di vita cruda (che spesso è di merda). E’ musica che non ha melodia, ha testi che possono offendere e dà voce a chi voce non ha.

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Appunti su La morte, la fanciulla e l’orco rosso di Nicoletta Bourbaki

 

“Credere che parlando di storia non stiamo facendo narrazione è tanto sbagliato quanto pensare che facendo narrazione non stiamo parlando di storia.” Joan Fontcuberta

Il cosiddetto “Caso Ghersi”, storiaccia in cui i partigiani sono stati raccontati come assassini e stupratori viene affrontato, analizzato e risolto ne La morte, la fanciulla e l’orco rosso, primo libro scritto dal collettivo di ricerca storica Nicoletta Bourbaki. Non si poteva sperare esordio migliore. Quasi trecento pagine che scorrono via mentre i neuroni vengono risvegliati e rimessi in moto. Trecento pagine di racconto, analisi, riscontri di dati e documenti d’archivio sapientemente miscelati e composti per smontare una storia rivoltante e antipartigiana. Pagine che sono un condensato di magia letteraria in cui ritroviamo rigorosa ricerca storia, analisi narratologica e racconto. Un piccolo prodigio.

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Appunti su UFO 78 di Wu Ming

Faccio un po’ di ordine fra i miei appunti, per quanto mi riesce;

Nel maggio del 1978 avevo meno di due anni, quindi non so niente del clima da assedio, dei posti di blocco per le strade, del martellamento mediatico sulla linea della fermezza, della claustrofobia dei 55 giorni del sequestro Moro. Non ne so niente ma avendo vissuto gli anni del confinamento nel “periodo Covid”, avendo visto i posti di blocco per le strade, eserciti a pattugliare confini, persone inseguite e fermate perché stavano facendo una passeggiata o una corsa in spiaggia, avendo saputo di delazioni fra vicini, elicotteri in volo a caccia di “untori”, di paranoia e ipoconria e del disgustoso martellamento mediatico del biennio Covid, non faccio troppa fatica a immaginare il clima.

Leggendo l’ultima fatica di Wu Ming si capisce che il 1978 fu l’anno in cui iniziò il nostro presente.

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L’eterno presente: Gli ultimi giorni dell’umanità.

 

“La pallottola è entrata all’umanità da un orecchio ed è uscito dall’altro. Via da questo orrore ridente! […] dall’interminabile gaudio di questa pozza di sangue”*

Ancora un giorno di bombardamenti, video sui social media e la diplomazia che arranca. Oggi 2.03 dovrebbero incontrarsi le delegazioni ucraina e russa per trovare un punto di incontro. Forse in Bielorussia, forse in Polonia. Solo i carri armati vanno avanti. Raggiungono le frontiere. I governi si armano, le piazze manifestano contro la guerra, ma da una parte sola.

Continua la guerra, continua lo sventolio di bandiere, i parteggiamenti, il tifo.

Un giorno a una manifestazione ci sono andato anch’io, anche noi, una manifestazione contro ‘la guerra di Putin’ e ci stavamo a disagio. Perché noi siamo contro la guerra, in blocco. Perché le bandiere, i nazionalisti, i confini ammazzano.

La manifestazione è stata il 26.02 in Platz Der Menschenrechte, a Vienna. Prima di andare ho cercato in rete informazioni sulle associazioni che l’hanno organizzata (Unlimited Democracy e Vienna goes Europe) e già dai nomi ero restio ad andare. Le parole Democrazia e Guerra, purtroppo, risuonano troppo spesso insieme. Sono “senza limiti”, davvero.

Alla fine, ci siamo andati in piazza. Anche solo per sentire che aria tira a Vienna.

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Per Nanni Balestrini

Sono due anni che manca Nanni Balestrini, l’anniversario cade il 19.05 e io lo ricordo oggi. Lo incontrai l’11.12.2015 ero arrivato a Vienna da un mese e cercavo lavoro. Fu un incontro strano, ma solo dopo tempo capii che avevo incontrato un gigante della letteratura (e non solo) contemporanea. Lo sapevo, ma capirlo è un’altra cosa. Ho davanti a me il quaderno che usavo per prendere appunti e da queste pagine ero partito già il giorno dopo l’incontro per scrivere ciò che segue. Ho ripreso in mano Blackout oggi e mi sono ricordato di questo frammento incastonato – insieme al resto degli appunti presi in quel periodo convulso – in un blocco che sedimenta da tempo e che è da sbozzare e levigare

 

Vienna, inverno 2015

Da giorni sto in giro per la città, passo da ristorante in ristorante e lascio il mio curriculum. E basta. Non dico granché, solo che cerco un lavoro. Questo è il curriculum e il numero di telefono è quassù. Grazie e vado via. Mi sembra di star tirando sassi sull’acqua. Mi fermo a guardare quella che scorre nel canale del Danubio. È marrone, non blu. Scorre potente, scuote i battelli ancorati lungo il canale e sì che sono belli grossi. C’è ancora neve sui bordi delle strade. Cammino e in giro vedo un manifesto con sopra stampato la silhouette di una torre per l’estrazione del petrolio, è la copertina di un libro. Ma è il nome dell’autore ad attirare la mia attenzione, Nanni Balestrini. Ci sarà una mostra con sue opere, la presentazione di Carbonia e una serie di performance. La data è prossima e il luogo è non solo nello stesso quartiere ma a non più di cento metri da dove stiamo abitando. Potrò incontrare l’autore di Vogliamo tutto e Sandokan, i suoi due libri che ho letto. Cerco di immaginarne la faccia e qualcosa mi dice che dovrei accontentarmi della mia immaginazione e lasciare perdere, non andare all’incontro. Meglio restare con le impressioni che la narrazione stimola e immaginare. Meglio evitare eventuali delusioni. Sì, ma io ho scritto leggete Nanni Balestrini anche fra le pagine del mio diario e adesso che lo posso incontrare resto a casa? Ma no dai, non posso perdermelo. E sì, lettor, che avresti tu fatto?

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Gioventù contro il fascismo, selezione da “Io sono l’ultimo”

Io sono l’ultimo (ed. Einaudi) è un libro che ha un posto speciale nella nostra libreria. E’ una raccolta di lettere, testimonianze, ricordi di partigiane e partigiani. Nel 1944 erano tutte e tutti dei giovani e la forza della loro scelta – così come quella delle loro emozioni –  arriva in modo diretto e  potente a chi legge le pagine del libro. Oggi 25 aprile – festa della Liberazione, festa divisiva per eccellenza vivaddìo – ho iniziato a leggere e a registrare (solo nove lettere), così che le loro storie possano viaggiare anche in altri modi. Affinchè, come scrive Giacomo Papi nell’introduzione, “i loro ricordi risuonino”.

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Cantalamappa, una storia ad alta voce #4

Due giorni fa ho finalmente registrato il quattordicesimo capitolo. Il titolo è Rapa Nui, si racconta dell’isola di Pasqua.

Nel frattempo anche qua a Vienna hanno imposto l’obbligo di portare la mascherina ffp2 anche all’aperto in alcune piazze come Stephanplatz, Schwedenplatz… I luoghi in cui c’è l’obbligo sono opportunamente segnalate tramite enormi cartelli. “Noi al posto del virus”, dicono. Boh. Il primo giorno di divieto mi sono ritrovato, appena uscito dalla metro a Schwedenplatz, non uno ma due furgoni della Polizei e relativi PolizistInnen che stazionavano a pochi metri dalla scalinata che porta al luogo dove fu “spento” l’autore dell’attentato di Novembre scorso. Ci sono passato in mezzo ai PolizistInnen, il percorso era obbligato, ed erano tutt* senza mascherina. Sarà stato perché era ancora parecchio presto e di prima mattina si è tutt* un po’ assonnati? Oppure sarà stato perché indossare la mascherina all’aperto è una minchiata?

Cosa c’entra questo con la storia di Rapa Nui? C’entra – mi dico e credo – nella misura in cui forse in troppi si sta guardando, in cerca del pericolo, nella direzione sbagliata.

Proprio come i Moai.

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Cantalamappa, una storia ad alta voce #3

 

Dopo aver registrato i capitoli “L’isola del tesoro”, “Dov’è il centro del mondo” e “L’albero di Bottego… o di Mahamed?”, l’estate scorsa in occasione dell’invito a partecipare al festival STORiE di Stra-ordinaria follia (ne ho scritto qua), non ho più registrato nulla. Mi sono fatto prendere dai ritmi del lavoro quotidiano, dalle preoccupazioni che affliggono più o meno tutte e tutti. Ieri ho ripreso in mano il libro e mi sono detto che questo lavoro è da finire. Anche perché siamo più o meno dove eravamo, lockdown dopo lockdown. Le “fasi” si susseguono e di fatto non è che cambi granché. In balia di inettitudini, restrizioni, guardie armate e ignobili esseri che misurano la vita con PIL, con un virus che muta e un vaccino che chissà quando verrà davvero somministrato a tutte e tutti. E non mi riferisco solo a chi vive in Italia o in Austria o in Europa, ma a tutte le persone che abitano questo pianeta, a prescindere dal colore della pelle, dal PIL del paese in cui si vive, dal genere e dalla posizione sociale.

Leggere queste storie fa venire voglia di andare a camminare, lasciarsi la porta di casa alle spalle e entrare nella strada, aprirsi all’incontro. Che è gran parte di ciò che manca, l’incontro. E perciò ecco qua il capitolo 11:

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Da “Infinite Jest”, prima che lo dimentichi

 

Prima che i giorni passino, butto giù qualche riga, prima che lo dimentichi.

Go!

In questi giorni ho ripreso a leggere più o meno con i miei ritmi di sempre. Visto che per mesi ho fatto fatica anche a leggere una pagina, questa nuova condizione la vivo come una piccola riconquista. Alcune settimane fa ho iniziato a leggere Infinite Jest e allo stesso tempo, vista la mole del libro e la non facile trasportabilità, ho letto anche altro. Fra gli altri ho letto un libro appena uscito di un autore in vista che mi ha preso molto, incentrato su un fatto di cronaca. Un fatto durissimo, tremendo, che non ricordavo. Forse lo avevo rimosso o forse all’epoca non avevo prestato molta attenzione. Il libro alla fine… va bè, magari ne scriverò, chissà.

Stapled shut
inside an outside world and
I’m Sealed in tight,
bizarre but right at home
Claustrophobic
closing in and
I’m catastrophic
not again…

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Due Novembre, Vienna

Lunedì 02.11

Eravamo in tre in chiusura, cosa insolita. Nonostante la mole di lavoro – pulire cucina, sala e bar, lavare i bagni, i frigoriferi e la vetrina, chiudere il dehor e portare in cantina un po’ di tavoli ché tanto con le nuove restrizioni il dehor non si potrà usare quindi portiamo giù i tavoli per poi riportarli su tra qualche settimana… – eravamo riusciti a chiudere poco oltre le 19:00. Da festeggiare. Così poco oltre le 19:00 che non valeva la pena segnarlo come straordinario. Eravamo contenti così e abbiamo fumato una sigaretta godendo della temperatura mite e dopo aver chiuso la porta ci siamo avviati verso il Graben chiacchierando, saranno state le 19:30. Raggiunta la Hofburg ci siamo salutati e abbiamo scherzato sul fatto che non ci saremmo rivisti a lavoro prima di Dicembre, visto che avremmo lavorato a giorni alterni fino alla fine delle restrizioni essendo tutti in Kurzarbeit. Ci siamo separati e sono montato in bici, superata Heldenplatz una bordata di suono mi ha investito, ha saturato l’aria. Luci di lampeggianti in lontananza. Tolgo le cuffie, attraverso il Ring e capisco che è in corso una festa, non capisco per cosa possa essere e non mi curo di chiedere, forse per esorcizzare il fatto che da domani si dovrà restare a casa a partire dalle 20:00. Mi immetto sulla Mariahilferstraße e mi concentro su ciò che sto ascoltando e mi sorprendo sempre un po’ di come il cervello riesca a seguire sia il discorso in cuffia che l’andamento delle auto e delle persone che camminano, attraversano, si fermano e non guardano dove vanno… Raggiungo casa, saluto mia moglie e i cani e mi rilasso con una doccia, mi arriva un messaggio da un amico in Italia con tre punti interrogativi e un link a un articolo dal titolo “Vienna attacco alla Sinagoga, spari in centro città”.

Non ne sappiamo niente.

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Cantalamappa a STORiE di Stra-ordinaria follia. Facciamo il punto

Siamo in fase due, quasi fase tre. Ho perso il conto. Qua a Vienna s’è ripreso a vivere più o meno come prima del Lockdown a causa del Covid-19. Si fanno più o meno le stesse cose, ma con la mascherina in tasca o in borsa, pronta per essere usata nei mezzi pubblici o nei negozi. Da un paio di settimane in verità solo chi lavora nei negozi ha l’obbligo di indossarla, non più i clienti. Da Luglio, notizia di due giorni fa, anche chi lavora non sarà più obbligato a indossarla. Resta comunque una cosa consigliata ma l’obbligo non ci sarà più.

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Tagessuppe #7 – mascherine e frattaglie

Lo chiameremo “lo stronzo”, così da risparmiarci descrizione fisica, genere di appartenenza e zona di provenienza…
Lo stronzo entra nel locale con addosso una mascherina stilosa per linea e fattura, colore nero. La tiene ben allacciata e aderente al viso. Nonostante l’aderenza le parole fluiscono ininterrotte e ridondanti. Lo stronzo è amico/quasi socio del proprietario e lui – conscio del suo status – si prende la libertà di passare dietro il bancone del bar, entrare nel laboratorio, tentare approcci con la collega che prova a svicolarsi, prendere le chiavi per andare in cantina. E parlare, parlare, parlare, parlare…

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Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte quarta

12.05

Le giornate sono più lunghe e fredde. Un’ondata di freddo che arriva dal nord (da dove sennò?) ha fatto riabbassare le temperature e su Vienna soffia un vento gelido che spazza via lo smog che – insieme al traffico – è tornato in città. Era meglio prima, continuo a dire fra me, riecco la normalità.
Come tante e tanti in questi ultimi mesi, evaporato il lavoro, ho messo su un minimo di routine che non mi facesse partire la brocca. Che poi ci vuole poco, basta vedere con quanta velocità tutto quello che credevi di aver messo da parte per “stare tranquillo” vola via per un imprevisto, una malattia. I soldi si muovono a senso unico e i nervi iniziano a cedere.

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Fear inoculum, seconda parte

Immunity, long overdue
Contagion, I exhale you
Naive, I opened up to you
Venom and mania
Now, contagion, I exhale you

Sono mesi che mi dico e scrivo che la paura, del virus, di ammalarsi e morire, paura anche di chi è altro da me, che è stata creata intorno al fenomeno Covid-19 è dannosa. C’è chi mi ha detto che “aveva bisogno di dare voce alla sua paura”, mentre invece era la paura che si stava impadronendo della sua vita. Perché è diverso dare sfogo a un sentimento o esserne posseduti. Diventarne servi.
La narrazione che è stata spacciata tramite giornali e tv in questi mesi di lockdown generalizzato, in alcuni paesi come l’Italia nocivo e tardivo, è stata ed è tossica. Legioni inoculanti libere di creare confusione, hanno inoculato coscientemente paura.

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Due righe sulla “normalità”

Stamattina al parco mi sono seduto ai piedi di un albero. Gea e Sirius mi si sono accovacciati accanto, avrebbero preferito che li liberassi per andare a zonzo per un po’. Non l’ho fatto, ho ancora paura che si imbattano in qualche schifezza e, nonostante la museruola, si ammalino di nuovo. Non ce lo possiamo permettere da nessun punto di vista. E da lì, dai piedi di un albero, mi sono chiesto quanta “normalità” pre virus stia tornando. Ho ascoltato il ritmo del traffico che è aumentato, l’aria che sta peggiorando tornando alla normalità. Ho fatto la tara alla mia ansia legata ai soldi, che mancano sempre più, al lavoro che non si sa se e quando riprenderà. Al “cosa fare”, ancora una volta. Ho aperto una delle poche app che ho ancora sul telefono e mi sono riletto la mail che ho ricevuto pochi giorni fa da un amico. Riflettevamo a distanza su questa fase 2. Scrive:

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Fase 2, la beffa

Dopo l’ennesimo decreto è ormai evidente che: è ammessa, concepita, solo un tipo di famiglia, chi ce l’ha ed è in buoni rapporti buon per lei o lui, per le/gli altr* che si arrangino, tanto non contavano già prima, figurati adesso; gli affetti validi sono quelli certificati, chi è solo s’attacca; gli amici e le amiche, le compagne e i compagni di avventure lotte e chissà cos’altro non hanno niente a che vedere con i “congiunti”; C’è l’hai la patente di congiunto? i bambini stanno e staranno ai domiciliari, che sono untori a livello logaritmico (se sai cos’è un logaritmo capisci che è una stronzata, altrimenti te la si fa passare come una cosa scientifichissima) e quindi chi se ne frega; i vecchi so vecchi, quelli che non sono stati fatti fuori dalle ordinaze delle regioni con “eccellenze sanitarie” sanno comunque quanto vengono considerati a livello politico; i parchi verranno aperti ma il sindaco di turno può decidere a propria discrezione se chiuderli, che sono roba sua, se ancora non è chiaro;

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25 Aprile a Vienna

Qua dove vivo il 25 Aprile non si festeggia, visto che Vienna fu liberata dall’Armata Rossa, alla fine della battaglia che ci fu tra il 2 e il 13 Aprile del 1945, contro la Wehrmacht. A ogni modo qualcosa volevo farla anch’io. Anche qua c’è stata la Resistenza, ci sono state persone che combatterono il nazifascismo. Così decido di uscire e andare a rendere omaggio a Johann Gärtner, di cui ho visto la targa davanti all’ingresso della stazione di cambio dei tram qui nel distretto dove vivo. Passo spesso davanti a questa targa, visto che è su uno dei percorsi che faccio per andare o tornare dal parco che sta davanti al palazzo di Schönbrunn. Sulla targa si legge che visse e lavorò per la libertà e l’unità. Per saperne un po’ di più ho dovuto fare qualche ricerca in internet: era un reduce decorato della prima guerra mondiale, membro del partito socialdemocratico dei lavoratori e del sindacato. Conduttore di Tram, in servizio presso la stazione operativa del quindicesimo distretto, quella dove ora c’è la targa che i suoi colleghi posero in suo ricordo. Faceva parte del Servizio rosso e fu arrestato nel settembre del 1943, venne processato insieme alla moglie per “Vorbereitung zum Hochverrat” (preparazione all’alto tradimento). Fu giustiziato nel novembre del 1944, sua moglie – di cui non ho trovato il nome – fu condannata a 10 anni di prigione.
E così sono uscito di casa e ho raggiunto la targa davanti alla stazione di servizio Rudolfsheim. Intorno non c’era nessuno, poche auto passavano sulla Mariahilferstrasse, nessuno a lavorare nelle sale dove stanno parcheggiati i tram. Mi sono sentito un po’ stupido per essere arrivato lì senza neppure un fiore da posare. Così, anche se stonato, ho cantato “Fischia il vento / infuria la bufera / scarpe rotte / eppur bisogna andar…”, consapevole di sapere che altr* in quel momento in italia stavano facendo qualcosa di simile. Felice di far parte di una umanità che si ritrova perché non solo ricorda ma quotidianamente, anche nelle piccole cose, lotta per difendere ciò che la guerra di resistenza e contrattacco al nazifascismo significa ancora oggi.

Cantalamappa, una lettura ad alta voce #2

24.04

L’altro ieri ho finito di registrare il quinto capitolo, ieri l’ho riascoltato e poi inviato alla nipotanza. Questo quinto capitolo ha un andamento diverso dagli altri, all’inizio l’ho trovato strano ma poi lavorandoci credo di essere riuscito a trovare un accordo tra il mio ritmo e il suo. Chissà se è venuto davvero bene. Intanto è fatta, ed esserci riuscito dopo un bel po’ di giorni di tribolazioni, è una piccola soddisfazione. Proverò a lavorare con un po’ più di dedizione alle letture, così che non passino così tanti giorni fra una e l’altra. Non tanto per assolvere a un dovere, ma per mantenere una promessa. Sirius continua a tenermi compagnia durante tutta la durata delle registrazioni, Gea preferisce andare via a un certo punto, al solito.

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Appunti su “Chav” di D. Hunter, un romanzo working class

Ho iniziato a leggere Chav due giorni fa in tarda mattinata e l’ho finito ieri pomeriggio. Lo avrei finito anche in meno tempo, se non avessi avuto altro da fare, e il motivo è questo: avevo bisogno di leggere una storia così: diretta, potente, vera. Perché in un periodo come questo una storia in cui il tema portante è la “solidarietà coatta” ci spinge a rivedere le nostre posizioni rispetto alla nostra classe sociale, alle persone che ne fanno parte; anche rispetto a noi stessi, se siamo “maschi bianchi eterosessuali a piede libero”, e analizzare ciò che stiamo facendo: combattiamo lo stato di cose o siamo passati dall’altra parte della barricata?

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Cantalamappa, una lettura ad alta voce

09.04.

Alcune notti fa stavo passeggiando per le vie del mio quartiere in compagnia di Gea e Sirius. Loro annusavano e facevano i loro bisogni lungo muri, aiuole e parchetti, con le aree giochi recintate con il nastro bianco e rosso della polizei, e mi chiedevo cosa potessi fare per le figlie e i figli di fratelli, sorelle e compagn* e amic* che da settimane sono rinchiusi ai domiciliari fra Italia e Inghilterra. Quando a un certo punto mi sono detto che potevo leggere e registrare un libro e inviare loro le sessioni di volta in volta. Sì, ma che libro? La scelta è caduta subito su Cantalamappa di Wu Ming. Per tre ottime ragioni:

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Fear Inoculum

[Devo dare forma a quello che mi gira in testa, anche per questo motivo ho aperto questo blog. Anche se – come dire? – possono essere pensieri con cui posso trovarmi in parziale disaccordo. Per quanto siano miei di sicuro. E insomma dopo giorni e giorni e giorni di terrore a mezzo stampa, di gestione criminale di una emergenza sanitaria trasformata in laboratorio di controllo e reclusione sociale la rabbia va manifestata in qualche modo. Le righe che eseguono le ho scritte ieri notte 04/04. Oggi leggendo in rete le dichiarazioni di alcuni personaggi pubblici su sciarpe, foulard da indossare e chiese da aprire – dichiarazioni fatte mentre anche su di loro pesa la responsabilità della situazione devastante che c’è nelle RSA, negli ospedali… – beh – mi sono augurato davvero che abbiano in tasca una fialetta di cianuro per uso personale]

Immunity, long overdue
Contagion, I exhale you
Naive, I opened up to you
Venom and mania
Now, contagion, I exhale you

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Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte terza

[La prima parte di ciò che segue (23.03) l’ho scritta giorni fa ed è stata pubblicata all’interno delle Necessarie evasioni sul blog di Alpinismo Molotov, avrei potuto pubblicarla prima anche quassù ma lo faccio ora che ho anche altro (29.03) e va bene accusì]

Strano trovarsi qui
Questo cortile
Occhi scuri intorno a me
Ho un po’ paura
Il peggio verrà da sè
Anche questa sera…

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Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte seconda.

[forse avrei dovuto pubblicarlo un paio di giorni fa queste righe, vista la velocità con cui si sta evolvendo la situazione, soprattutto in Italia. Ma tant’è. La prima parte la trovate qui]

A me piace stare a casa, è il posto dove ho i miei libri, i dischi, ciò che è parte di me. Mi piace restare a casa, ma solo fino a quando non sento che i muri iniziano a curvarsi e lo spazio intorno a me retringersi. E questo succede ogni giorno, anche più volte al giorno. In quel momento mollo tutto ed esco, non esiste altro che il bisogno dell’aria aperta e che fuori ci siano -15 0 35 gradi è uguale, devo uscire, andare via.

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