Intorno a La vera storia della banda Hood

Quando scrivo di un romanzo che mi è piaciuto, la cosa che temo di più è rovinare la sorpresa di chi ancora non ha letto il libro in questione. In poche parole “fare spoiler”. Mi è capitato di mettere l’avviso, ma resta una cosa antipatica, sia fare spoiler che evitare alcuni percorsi per timore di svelare troppo. Ad ogni modo il libro La vera storia della banda Hood è un libro prezioso, che racconta una storia che non ci si stanca mai di rileggere e riascoltare e che è – allo stesso tempo – una bella riscrittura del mito: quello di Robin Hood e dei suoi allegri compari, per restare alla vulgata delle trasposizioni cinematografiche. Il mito di Robin Hood è intrecciato con il desiderio di giustizia, e vendetta. E il motto di rubare a ricchi per dare ai poveri viene subito in mente, a chiunque conosca la storia. Quindi nel momento in cui ho saputo dell’imminente uscita del libro di Wu ming 4, le mie antenne di lettore si sono subito attivate.

A colpirmi credo sia stato innanzitutto il titolo: La vera storia della banda Hood.

Dietro, anzi, al di sotto di ogni parola si aprono mondi, intrecci di altre storie. Il nome Robin manca, al suo posto c’è una banda. Si intuisce quindi che si sta attuando la sostituzione dell’eroe classico – quasi sempre un maschio bianco – con un collettivo, una banda. Di cui ancora non si sa nulla. Dopodiché il titolo ci avverte che stiamo per leggere “la vera storia” di questa banda. E se è vera la storia, allora sarà vera anche la banda, e così la figura dell’eroe accompagnato da semplici compari subisce un altro scossone. Da chi è composto allora questo collettivo? Da ragazzi e ragazze tra i dieci e i quattordici, quindici anni. Persone costrette a una vita di stenti, alcuni condannati a morte per furti dovuti a fame e miseria, e che trovano, nella vita in comune, in banda appunto, la forza e le risorse per vivere liberi e autonomi al di fuori della legge dei signori – e degli adulti. E questo aspetto ha fatto risuonare più campanelli nella testa, uno di questi, di cui ora non seguirò l’affascinante suono, ma che butto lì a far rumore, è il richiamo ai deliranti anni di pandemia di Covid-19,in cui bambine e bambini, ragazze e ragazzi furono indicati come possibili “untori”, portatori sani del virus, potenzialmente criminali nel loro volersi ritrovare durante i pochi momenti in cui le regole del confinamento a casa sembravano potersi allentare, ché tanto “andrà tutto bene”, e poi ancora costretti a studiare per ore davanti allo schermo di un computer (per chi poteva, a chi funzionava, ecc.). Ragazze e ragazzi confinati al margine di una società che va avanti con le sue abitudini devastanti per vita e ambiente.

Sto per tornare al romanzo, ma prima ancora una cosa: la banda di bambine e bambini ha in assoluto una forza narrativa molto forte. Prova ne è il recente successo di una serie come Stranger Things. E poi: come si fa a non stare dalla loro parte, non si può non esserlo, non sarebbe giusto.

Perché quella della banda Hood è una storia vera?

Nel volume La realtà non è come ci appare Carlo Rovelli scrive: “Alla nostra scala, immensamente più grande della scala di Planck, lo spazio è liscio e piano, e descritto dalla geometria euclidea. Ma se scendiamo alla scala di Planck, si frastaglia e schiumeggia”.

La lunghezza di Planck è un numero infinitesimale: un sedici preceduto da trentacinque zeri, un quintiliardesimo di centimetro. Una porzione di spazio piccolissima, in cui lo spazio, come scrive Rovelli, “schiumeggia”. L’immagine per me ha un fascino incredibile, ancor di più quando il fisico si chiede: “se lo spazio quantistico ha la struttura di una rete, che forma avrà lo spaziotempo quantistico? Sarà una “storia”, cioè un cammino, di una rete.”

Rovelli usa la parla storia tra virgolette per indicare una relazione fra quanti di materia. Una relazione, una “storia”: la realtà al livello della lunghezza di Planck è quindi un cammino di una rete, di “storie”.

Che c’entra tutto questo con la storia della banda Hood?

La vera storia della banda Hood è un libro in cui si intrecciano narrazioni diverse, quelle usate direttamente dall’autore per creare la struttura della sua storia e quelle raccontate dalle figure di narratori che contribuiscono allo svolgimento del racconto. Ho trovato molto bella la messa in scena della genesi del racconto orale che circola fra le persone e crea dal basso la storia di Robin Hood. Il libro scritto da Wu Ming 4 è quindi una storia che attinge a piene mani dalle ballate originali del folklore inglese, quelle intorno alla figura di Robin Hood, di Little John, di Much the Miller’s son e di Wiliam Scarlockl. Questi ultimi tre sono presenti nel romanzo e formano il nocciolo duro intorno a cui si forma la banda Hood, dalle cui gesta avranno avvio le canzoni, le ballate, le storie narrate nelle bettole e nelle piazze della contea immaginata da Wu Ming 4. La dimensione metanarrativa è più che evidente ed è una delle cifre più interessanti di La vera storia della banda Hood. Leggendo incontriamo diverse figure di narratori e narratrici e un po’ tutti i personaggi si raccontano storie l’un l’altro per dar senso al quotidiano, per intessere rapporti, risolvere situazioni. O per trasfigurare “la realtà così com’è” e andare oltre le apparenze.

Questo andare a fondo nella storia di Robin Hood, la quale dopo secoli di sedimentazioni si è sclerotizzata intorno all’eroe-maschio-nobile-decaduto-che-compie-atti-di-giustizia e che, come lo spazio euclideo, ci appare liscia, chiara, con ruoli rigidi e definiti, porta alla luce grani narrativi messi da parte dalla narrazione dominante e che problematizza le relazioni fra i personaggi. Ad esempio, viene restituito alle donne il ruolo che hanno avuto nella Storia coeva alla narrazione delle gesta della banda Hood e – di conseguenza – la narrazione stessa ne risulta arricchita.

Ed è anche questa relazione fra le ballate originarie, riportate alla luce e intessute nel testo, che rende plausibile e giusto l’uso nel titolo dell’aggettivo vero. Leggendo La vera storia della banda Hood si può rientrare in contatto con quel nucleo di racconti originari, assaporare il gusto delle storie che stanno alla radice del mito di Robin Hood, ché – per scomodare anche Democrito – la verità è nel profondo. E le storie, penso io, sono vere quando si sente che dentro c’è la vita.

 

Wu Ming 4, La vera storia della banda Hood, Bompiani, Milano 2024, €16,00

 

libro citato: Carlo Rovelli, La realtà non è come appare, Raffaello Cortina, Milano 2021, €22,00

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