racconti

È giunto il momento, il piatto va portato in tavola

È arrivato per me il tempo di rompere il riserbo, di far entrare la cosa nel vivo: a fine gennaio 2025 uscirà per la casa editrice Alegre – nella collana Working Class diretta da Alberto Prunetti – il mio secondo romanzo: Risto-Reich. In verità la cosa fu anticipata qualche mese fa da Wu Ming 1, in nota all’articolo su Giap in cui annunciava l’uscita dell’ultimo titolo della collana Quinto Tipo.

Risto-Reich è ambientato a Vienna, città in cui vivo con la mia famiglia da un po‘ di anni, in cui ho iniziato a lavorare come cameriere/barista. Per scrivere il romanzo ho attinto alla mia esperienza, ma non solo. Molto devo ai racconti di colleghe e colleghi con cui ho lavorato a stretto contatto per montagne di ore ogni mese tra il 2016 e il 2020, così come molto devo alla lettura di romanzi, saggi, articoli e opere di non fiction che hanno fatto lavorare la mia fantasia e creare connessioni. Più in là pubblicherò una bibliografia ragionata.

Risto-Reich è – come già il Diario di zona – un oggetto narrativo non identificato, ma la dimensione romanzesca è più marcata, il lato autobiografico ridotto. Mi piace pensarlo come un romanzo a più voci, in cui l’io del narratore diventi il punto da cui chi leggerà il libro potrà vedere e forse capire un po‘ di più della propria esperienza di cliente di un qualsiasi ristorante/pizzeria. Farsi un’idea di cosa vibri e viva oltre il bancone di un bar, dietro le porte di una cucina -quando mancano le telecamere di una TV; dietro il non detto di un o una lavoratrice davanti alla spocchia del solito callone di turno che si siede in sala; dietro le porte di un ufficio durante un colloquio di lavoro o al momento della firma del contratto – quando questo c’è –, mentre forze oscure premono tanto da curvare le pareti.

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Per Nanni Balestrini

Sono due anni che manca Nanni Balestrini, l’anniversario cade il 19.05 e io lo ricordo oggi. Lo incontrai l’11.12.2015 ero arrivato a Vienna da un mese e cercavo lavoro. Fu un incontro strano, ma solo dopo tempo capii che avevo incontrato un gigante della letteratura (e non solo) contemporanea. Lo sapevo, ma capirlo è un’altra cosa. Ho davanti a me il quaderno che usavo per prendere appunti e da queste pagine ero partito già il giorno dopo l’incontro per scrivere ciò che segue. Ho ripreso in mano Blackout oggi e mi sono ricordato di questo frammento incastonato – insieme al resto degli appunti presi in quel periodo convulso – in un blocco che sedimenta da tempo e che è da sbozzare e levigare

 

Vienna, inverno 2015

Da giorni sto in giro per la città, passo da ristorante in ristorante e lascio il mio curriculum. E basta. Non dico granché, solo che cerco un lavoro. Questo è il curriculum e il numero di telefono è quassù. Grazie e vado via. Mi sembra di star tirando sassi sull’acqua. Mi fermo a guardare quella che scorre nel canale del Danubio. È marrone, non blu. Scorre potente, scuote i battelli ancorati lungo il canale e sì che sono belli grossi. C’è ancora neve sui bordi delle strade. Cammino e in giro vedo un manifesto con sopra stampato la silhouette di una torre per l’estrazione del petrolio, è la copertina di un libro. Ma è il nome dell’autore ad attirare la mia attenzione, Nanni Balestrini. Ci sarà una mostra con sue opere, la presentazione di Carbonia e una serie di performance. La data è prossima e il luogo è non solo nello stesso quartiere ma a non più di cento metri da dove stiamo abitando. Potrò incontrare l’autore di Vogliamo tutto e Sandokan, i suoi due libri che ho letto. Cerco di immaginarne la faccia e qualcosa mi dice che dovrei accontentarmi della mia immaginazione e lasciare perdere, non andare all’incontro. Meglio restare con le impressioni che la narrazione stimola e immaginare. Meglio evitare eventuali delusioni. Sì, ma io ho scritto leggete Nanni Balestrini anche fra le pagine del mio diario e adesso che lo posso incontrare resto a casa? Ma no dai, non posso perdermelo. E sì, lettor, che avresti tu fatto?

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Da “Infinite Jest”, prima che lo dimentichi

 

Prima che i giorni passino, butto giù qualche riga, prima che lo dimentichi.

Go!

In questi giorni ho ripreso a leggere più o meno con i miei ritmi di sempre. Visto che per mesi ho fatto fatica anche a leggere una pagina, questa nuova condizione la vivo come una piccola riconquista. Alcune settimane fa ho iniziato a leggere Infinite Jest e allo stesso tempo, vista la mole del libro e la non facile trasportabilità, ho letto anche altro. Fra gli altri ho letto un libro appena uscito di un autore in vista che mi ha preso molto, incentrato su un fatto di cronaca. Un fatto durissimo, tremendo, che non ricordavo. Forse lo avevo rimosso o forse all’epoca non avevo prestato molta attenzione. Il libro alla fine… va bè, magari ne scriverò, chissà.

Stapled shut
inside an outside world and
I’m Sealed in tight,
bizarre but right at home
Claustrophobic
closing in and
I’m catastrophic
not again…

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Due Novembre, Vienna

Lunedì 02.11

Eravamo in tre in chiusura, cosa insolita. Nonostante la mole di lavoro – pulire cucina, sala e bar, lavare i bagni, i frigoriferi e la vetrina, chiudere il dehor e portare in cantina un po’ di tavoli ché tanto con le nuove restrizioni il dehor non si potrà usare quindi portiamo giù i tavoli per poi riportarli su tra qualche settimana… – eravamo riusciti a chiudere poco oltre le 19:00. Da festeggiare. Così poco oltre le 19:00 che non valeva la pena segnarlo come straordinario. Eravamo contenti così e abbiamo fumato una sigaretta godendo della temperatura mite e dopo aver chiuso la porta ci siamo avviati verso il Graben chiacchierando, saranno state le 19:30. Raggiunta la Hofburg ci siamo salutati e abbiamo scherzato sul fatto che non ci saremmo rivisti a lavoro prima di Dicembre, visto che avremmo lavorato a giorni alterni fino alla fine delle restrizioni essendo tutti in Kurzarbeit. Ci siamo separati e sono montato in bici, superata Heldenplatz una bordata di suono mi ha investito, ha saturato l’aria. Luci di lampeggianti in lontananza. Tolgo le cuffie, attraverso il Ring e capisco che è in corso una festa, non capisco per cosa possa essere e non mi curo di chiedere, forse per esorcizzare il fatto che da domani si dovrà restare a casa a partire dalle 20:00. Mi immetto sulla Mariahilferstraße e mi concentro su ciò che sto ascoltando e mi sorprendo sempre un po’ di come il cervello riesca a seguire sia il discorso in cuffia che l’andamento delle auto e delle persone che camminano, attraversano, si fermano e non guardano dove vanno… Raggiungo casa, saluto mia moglie e i cani e mi rilasso con una doccia, mi arriva un messaggio da un amico in Italia con tre punti interrogativi e un link a un articolo dal titolo “Vienna attacco alla Sinagoga, spari in centro città”.

Non ne sappiamo niente.

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Tagessuppe #7 – mascherine e frattaglie

Lo chiameremo “lo stronzo”, così da risparmiarci descrizione fisica, genere di appartenenza e zona di provenienza…
Lo stronzo entra nel locale con addosso una mascherina stilosa per linea e fattura, colore nero. La tiene ben allacciata e aderente al viso. Nonostante l’aderenza le parole fluiscono ininterrotte e ridondanti. Lo stronzo è amico/quasi socio del proprietario e lui – conscio del suo status – si prende la libertà di passare dietro il bancone del bar, entrare nel laboratorio, tentare approcci con la collega che prova a svicolarsi, prendere le chiavi per andare in cantina. E parlare, parlare, parlare, parlare…

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Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte quarta

12.05

Le giornate sono più lunghe e fredde. Un’ondata di freddo che arriva dal nord (da dove sennò?) ha fatto riabbassare le temperature e su Vienna soffia un vento gelido che spazza via lo smog che – insieme al traffico – è tornato in città. Era meglio prima, continuo a dire fra me, riecco la normalità.
Come tante e tanti in questi ultimi mesi, evaporato il lavoro, ho messo su un minimo di routine che non mi facesse partire la brocca. Che poi ci vuole poco, basta vedere con quanta velocità tutto quello che credevi di aver messo da parte per “stare tranquillo” vola via per un imprevisto, una malattia. I soldi si muovono a senso unico e i nervi iniziano a cedere.

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Fear inoculum, seconda parte

Immunity, long overdue
Contagion, I exhale you
Naive, I opened up to you
Venom and mania
Now, contagion, I exhale you

Sono mesi che mi dico e scrivo che la paura, del virus, di ammalarsi e morire, paura anche di chi è altro da me, che è stata creata intorno al fenomeno Covid-19 è dannosa. C’è chi mi ha detto che “aveva bisogno di dare voce alla sua paura”, mentre invece era la paura che si stava impadronendo della sua vita. Perché è diverso dare sfogo a un sentimento o esserne posseduti. Diventarne servi.
La narrazione che è stata spacciata tramite giornali e tv in questi mesi di lockdown generalizzato, in alcuni paesi come l’Italia nocivo e tardivo, è stata ed è tossica. Legioni inoculanti libere di creare confusione, hanno inoculato coscientemente paura.

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Due righe sulla “normalità”

Stamattina al parco mi sono seduto ai piedi di un albero. Gea e Sirius mi si sono accovacciati accanto, avrebbero preferito che li liberassi per andare a zonzo per un po’. Non l’ho fatto, ho ancora paura che si imbattano in qualche schifezza e, nonostante la museruola, si ammalino di nuovo. Non ce lo possiamo permettere da nessun punto di vista. E da lì, dai piedi di un albero, mi sono chiesto quanta “normalità” pre virus stia tornando. Ho ascoltato il ritmo del traffico che è aumentato, l’aria che sta peggiorando tornando alla normalità. Ho fatto la tara alla mia ansia legata ai soldi, che mancano sempre più, al lavoro che non si sa se e quando riprenderà. Al “cosa fare”, ancora una volta. Ho aperto una delle poche app che ho ancora sul telefono e mi sono riletto la mail che ho ricevuto pochi giorni fa da un amico. Riflettevamo a distanza su questa fase 2. Scrive:

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Fase 2, la beffa

Dopo l’ennesimo decreto è ormai evidente che: è ammessa, concepita, solo un tipo di famiglia, chi ce l’ha ed è in buoni rapporti buon per lei o lui, per le/gli altr* che si arrangino, tanto non contavano già prima, figurati adesso; gli affetti validi sono quelli certificati, chi è solo s’attacca; gli amici e le amiche, le compagne e i compagni di avventure lotte e chissà cos’altro non hanno niente a che vedere con i “congiunti”; C’è l’hai la patente di congiunto? i bambini stanno e staranno ai domiciliari, che sono untori a livello logaritmico (se sai cos’è un logaritmo capisci che è una stronzata, altrimenti te la si fa passare come una cosa scientifichissima) e quindi chi se ne frega; i vecchi so vecchi, quelli che non sono stati fatti fuori dalle ordinaze delle regioni con “eccellenze sanitarie” sanno comunque quanto vengono considerati a livello politico; i parchi verranno aperti ma il sindaco di turno può decidere a propria discrezione se chiuderli, che sono roba sua, se ancora non è chiaro;

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25 Aprile a Vienna

Qua dove vivo il 25 Aprile non si festeggia, visto che Vienna fu liberata dall’Armata Rossa, alla fine della battaglia che ci fu tra il 2 e il 13 Aprile del 1945, contro la Wehrmacht. A ogni modo qualcosa volevo farla anch’io. Anche qua c’è stata la Resistenza, ci sono state persone che combatterono il nazifascismo. Così decido di uscire e andare a rendere omaggio a Johann Gärtner, di cui ho visto la targa davanti all’ingresso della stazione di cambio dei tram qui nel distretto dove vivo. Passo spesso davanti a questa targa, visto che è su uno dei percorsi che faccio per andare o tornare dal parco che sta davanti al palazzo di Schönbrunn. Sulla targa si legge che visse e lavorò per la libertà e l’unità. Per saperne un po’ di più ho dovuto fare qualche ricerca in internet: era un reduce decorato della prima guerra mondiale, membro del partito socialdemocratico dei lavoratori e del sindacato. Conduttore di Tram, in servizio presso la stazione operativa del quindicesimo distretto, quella dove ora c’è la targa che i suoi colleghi posero in suo ricordo. Faceva parte del Servizio rosso e fu arrestato nel settembre del 1943, venne processato insieme alla moglie per “Vorbereitung zum Hochverrat” (preparazione all’alto tradimento). Fu giustiziato nel novembre del 1944, sua moglie – di cui non ho trovato il nome – fu condannata a 10 anni di prigione.
E così sono uscito di casa e ho raggiunto la targa davanti alla stazione di servizio Rudolfsheim. Intorno non c’era nessuno, poche auto passavano sulla Mariahilferstrasse, nessuno a lavorare nelle sale dove stanno parcheggiati i tram. Mi sono sentito un po’ stupido per essere arrivato lì senza neppure un fiore da posare. Così, anche se stonato, ho cantato “Fischia il vento / infuria la bufera / scarpe rotte / eppur bisogna andar…”, consapevole di sapere che altr* in quel momento in italia stavano facendo qualcosa di simile. Felice di far parte di una umanità che si ritrova perché non solo ricorda ma quotidianamente, anche nelle piccole cose, lotta per difendere ciò che la guerra di resistenza e contrattacco al nazifascismo significa ancora oggi.