Quando scrivo di un romanzo che mi è piaciuto, la cosa che temo di più è rovinare la sorpresa di chi ancora non ha letto il libro in questione. In poche parole “fare spoiler”. Mi è capitato di mettere l’avviso, ma resta una cosa antipatica, sia fare spoiler che evitare alcuni percorsi per timore di svelare troppo. Ad ogni modo il libro La vera storia della banda Hood è un libro prezioso, che racconta una storia che non ci si stanca mai di rileggere e riascoltare e che è – allo stesso tempo – una bella riscrittura del mito: quello di Robin Hood e dei suoi allegri compari, per restare alla vulgata delle trasposizioni cinematografiche. Il mito di Robin Hood è intrecciato con il desiderio di giustizia, e vendetta. E il motto di rubare a ricchi per dare ai poveri viene subito in mente, a chiunque conosca la storia. Quindi nel momento in cui ho saputo dell’imminente uscita del libro di Wu ming 4, le mie antenne di lettore si sono subito attivate.
Faccio un po’ di ordine fra i miei appunti, per quanto mi riesce;
Nel maggio del 1978 avevo meno di due anni, quindi non so niente del clima da assedio, dei posti di blocco per le strade, del martellamento mediatico sulla linea della fermezza, della claustrofobia dei 55 giorni del sequestro Moro. Non ne so niente ma avendo vissuto gli anni del confinamento nel “periodo Covid”, avendo visto i posti di blocco per le strade, eserciti a pattugliare confini, persone inseguite e fermate perché stavano facendo una passeggiata o una corsa in spiaggia, avendo saputo di delazioni fra vicini, elicotteri in volo a caccia di “untori”, di paranoia e ipoconria e del disgustoso martellamento mediatico del biennio Covid, non faccio troppa fatica a immaginare il clima.
Leggendo l’ultima fatica di Wu Ming si capisce che il 1978 fu l’anno in cui iniziò il nostro presente.
L´antimilitarismo è una presa di posizione da mantenere salda, anche mentre si raccontano storie. Mentre si lavora, mentre si crea. Deleuze disse che creare è resistere e credo sia profondamente vero.
Il titolo di questo capitolo (il penultimo di Cantalamappa) è Le repubbliche dell’ex-Rastovja.
Due giorni fa ho finalmente registrato il quattordicesimo capitolo. Il titolo è Rapa Nui, si racconta dell’isola di Pasqua.
Nel frattempo anche qua a Vienna hanno imposto l’obbligo di portare la mascherina ffp2 anche all’aperto in alcune piazze come Stephanplatz, Schwedenplatz… I luoghi in cui c’è l’obbligo sono opportunamente segnalate tramite enormi cartelli. “Noi al posto del virus”, dicono. Boh. Il primo giorno di divieto mi sono ritrovato, appena uscito dalla metro a Schwedenplatz, non uno ma due furgoni della Polizei e relativi PolizistInnen che stazionavano a pochi metri dalla scalinata che porta al luogo dove fu “spento” l’autore dell’attentato di Novembre scorso. Ci sono passato in mezzo ai PolizistInnen, il percorso era obbligato, ed erano tutt* senza mascherina. Sarà stato perché era ancora parecchio presto e di prima mattina si è tutt* un po’ assonnati? Oppure sarà stato perché indossare la mascherina all’aperto è una minchiata?
Cosa c’entra questo con la storia di Rapa Nui? C’entra – mi dico e credo – nella misura in cui forse in troppi si sta guardando, in cerca del pericolo, nella direzione sbagliata.
Proprio come i Moai.