Scaramouche, #teatro e rivolta.

Ciò che segue è un omaggio all’attore Leo Modonnét – e alla maschera di Scaramouche – le cui gesta sono narrate ne L’Armata dei sonnambuli. Ogni somiglianza a fatti e/o persone è da ritenersi casuale, per quanto la situazione teatrale italiana renda verosimile e plausibile ciò che è qui narrato. Buona lettura.

***

– Allora, fine prova sul palco!, dice tirando giù sul petto la maschera di Balanzone. Tutti in camerino e ancora mezz’ora per la prova costume, poi ci si rivede alle 14:00.
– Scusa, siamo sul palco da tre ore e mezza e non abbiamo fatto neppure una pausa. Ora anche la prova costume e non possiamo neppure andare a mangiare… Ma… almeno una firma in più?
– E no. Lo sapete, niente. Non ci sono soldi.
– …
– E poi non lo dovete dire a me.
– A chi se non a te? Sei il nostro ehm… referente, o no?
– Per queste cose ci sono i sindacati… che ne hanno già parlato con la direzione.
– Eh?
– E la direzione dice che di questa faccenda “non gliene frega niente”.
– …

La frase raggiunge l’orecchio dell’attore,  rimbalza sulle pareti del condotto uditivo e si schianta sul timpano con violenza. Reagisce scuotendo la testa e smozzicando un paio di bestemmie. Va via lasciando il panzone fermo lì sul proscenio con la maschera calata sul petto. Attraversa il palcoscenico con la frase ancora in testa, va dietro le quinte, prende la sua maschera e il bastone di scena, passa dietro il fondale e raggiunge il camerino.
Entra nel bagno, si lava la faccia e sputa un grumo di saliva e polvere di palcoscenico. Si asciuga la faccia. Esce dal bagno e va verso i colleghi.
– Ragazzi, scusate un attimo, ho parlato col panzone a fine prova, ho detto che avremmo diritto almeno una firma in più… ma qua se parla uno solo non succede nulla. Niente.

Brusii e occhi sbarrati.
Qualcuno dice che in effetti è uno schifo, che non abbiamo neppure mangiato e ora anche la prova costume e io me ne vado, dice un altro, mica mi possono obbligare. E qualcun altro dice che è un delirio, che è sempre peggio, che stiamo lavorando per 4 euro l’ora e quindi vaffanculo.
Arriva la sarta con i costumi, si guarda in giro, ascolta in silenzio e poi dice – capisco. Arriva nei camerini il regista e… ragazzi – dice – vi capisco. Fate come volete, che vi devo dire? Se non potete provare i costumi ci vediamo oggi pomeriggio e poi martedì alla generale li indosserete come potrete. Come dobbiamo fare? Qua la situazione è allucinante. Non dipende da me.

E intanto si continua a discutere.
C’è chi la prova vuol farla comunque e il problema è che dicono sempre – da anni – che “non gliene frega niente” di chi sta sul palco. E questo mette le palle in giostra a parecchi. E intanto fino a pochi anni fa anche le prove costume erano regolarmente pagate. Ora hanno aumentato la produzione, diminuito le recite, annullato le assunzioni. Ora devono risparmiare e lo fanno su di noi, mica su altro. Non su chi intasca sia uno stipendio che un cachet, non su chi sta dietro una scrivania e poi mette il suo nome in cartellone sotto un titolo.

Il problema quindi siamo noi che lavoriamo sul palco. Costiamo, dicono, e se vuoi lavorare devi aprire la partita iva. Scaricano su di noi i loro costi. Risparmiano su di noi non sull’esercito di assistenti in direzione, non sui tre direttori, non sulle produzioni mediocri, no – pensa guadando la maschera di Scaramouche – no risparmiano su di noi. Boia d’un dio.
Indossa la maschera col rostro e poi il costume. La sarta lo guarda sorridendo.

– Sei a dieta.
– No, veramente no.
– Te lo dico io, sei a dieta.
– Va bene. Fatto?
Infila una mano nei pantaloni, aggiusta la camicia.
– Sì, così va bene.

Torna la compagnia sul palco dopo la prova costume e mezz’ora di pausa. C’è chi chiacchiera, chi si riscalda, chi ripassa la parte. L’attore che interpreta Scaramouche sta ripassando i movimenti della lotta. Un passo a due con lo spirito di Marat.
Si avvicina il panzone.
– Sai se qualcuno è andato in direzione a lamentarsi?
– Scusa?
– Sai chi è andato in direzione?
– No.
– Qualcuno ha fatto casino ed è andato a lamentarsi della firma per la prova costume.
– Non ne so niente. Dopo aver parlato con te sono andato nei camerini a parlare con i colleghi, questo sì.
– E qualcuno si è lamentato col regista.
– Il regista era già lì per la prova.
– …
– Allora?
– Perché se c’è da lamentarsi devi farlo con me.
– Sono venuto da te e mi hai detto che dalla direzione se ne fregano.
– E c’era da andare da Mr. X.
– E sei andato tu?
– No.
– E allora?
– Perchè dalla direzione hanno fatto il culo a Mr. X e lui è venuto da me e mi ha fatto il culo e…
– E tu ora vuoi incazzarti con me? Caschi male. Se Mr. X vuole sapere qualcosa venga a chiedermela lui.
– Dalla direzione sono incazzati.
– E no, siamo noi che siamo incazzati. Siamo noi che dovremmo andare in direzione e fare un casino che non finisce più. Non so se mi spiego.

Il panzone si allontana.
Il nostro attore riprende da dove era stato interrotto, afferra lo spirito di Marat e ripete i movimenti dapprima lentamente poi con velocità crescente. Poi indossa la maschera di Scaramouche e raggiunge il gruppo di colleghi, riprende la prova.
Provano, provano e provano in continuazione, fino allo sfinimento, scene vecchie e nuovi movimenti. Cambiano ciò che non funziona, le parti recitate male sanno di teatro vecchio, morto, riprovano gli ingressi e le uscite ascoltando la musica, seguendo i movimenti dei praticabili, dei carri che trasportano le scene, dei cambi luce. Provano seguendo una partitura scenica che viene corretta, perfezionata di prova in prova. Un lavoro da non credere. Intanto dietro le quinte gira un foglio.

Riunione sul palcoscenico:
– Questi baracconi dovrebbero chiuderli.
– Accozzaglia di burocrazia.
– Sì ma i tecnici sono in gamba
– Di più, ma che scherzi?, se non ci fossero loro qua sarebbe un casino…
– ‘U pisce puzza sempre da capu, disse ‘a mi nonna.
– Eh?
– Va beh, abbassate la voce che il panzone si sta avvicinando.
– ‘afammocc

Arriva anche all’attore che indossa la maschera di Scaramouche, alcune firme sono già lì nero su bianco.
– E questo?
– Firma dai.
– Cos’è?
Fa spallucce, Balanzone, e porge la penna.
In testa al foglio firma c’è un orario che corrisponde alla prova costume.
– Quindi si fa così. E non se ne parla, si dà il contentino e non cambierà niente. Vero?
Scarabocchia una sigla e il panzone si riprende la penna.
Si fa così vero?
Passa dietro le quinte.
Incrocia Mr. X, che a differenza del solito non saluta.
Tutto molto chiaro.

Stacco.

Fine prova
Camerini, interno giorno, luci al neon.

Scaramouche:
Ascoltatemi signori!
L’ora è giunta.
Non solo siamo sfruttati, quattro euro l’ora ci pagano – lo sapete – e non contenti pretendono che si resti zitti, muti e in silenzio perché – dicono – se non ci sta bene ce ne possiamo andare. Ché lì fuori ci sta una schiera, un’armata, di attori mortidifame che non vede l’ora di poter stare su un palco.
E se qualcuno va a chiedere il perché e il percome il suo nome viene messo su una lista e qui dentro non ci lavora più.
– È così o no?
– Sì porcoddue.
– Ecco, e non contenti ci dicono che a loro “non gliene frega niente”, e no cazzo.
– Ci hanno fatto firmare un foglio ma nessuno è venuto a parlare, è un contentino.
– Cambierà un cazzo.
– ‘afammocc!

Si fa avanti una ballerina col costume di Colombina.
– Io ho lavorato qua come co.co.pro anni fa, 600€ lorde al mese, lavoravamo anche 10 ore. Alla fine del periodo di lavoro si fece un convegno per la presentazione del lavoro e arrivò un assessore, c’era tutta la direzione del teatro… insomma arriva e fa: allora, ve lo siete mangiato tutto il milione di euro che vi hanno dato per questa faccenda? Come “un milione”? faccio io. Ci avevano detto che erano solo trecentomila per tutto il progetto e quindi non ci potevano pagate di più. E sapete che ha fatto l’assessore?
– Cosa?
– S’è messo a ridere.
– …
– Se non rispettano il nostro lavoro allora non rispettano neppure il lavoro degli elettricisti, dei macchinisti, del regista. E allora che ci stiamo a fare? O tutto il lavoro merita rispetto o allora niente lo merita.
– Essì cazzo.
– Torniamo sul palco e facciamo casino.
– Tutti sul palco!
– Sì, tutti sul palco adesso che c’è la conferenza.
– Con le barufffe chiozzotte non si fa una rivoluzione, diocane.
– Sciopero!
– Facciamo sciopero e si fotta la direzione.

Un gruppo di maschere incazzate e ghignanti si precipita fuori dai camerini. In mano hanno tutto l’armamentario di scena: spade, pugnali, mazze, alabarde e fucili. Percuotono le tubature, i muri, urlano come indemoniati sciopero sciopero, invadono le scale. Gli orchestrali in riposo nella sala delle macchinette si affacciano nel salone a lato del palcoscenico per tentare di capire cosa sta succedendo, i coristi parlano fra loro e non sentono il rumore dei passi, quando le porte anti-panico si spalancano e le maschere della commedia dell’arte – di solito così educate e divertenti – irrompono nel salone urlando come pirati, i coristi vengono travolti, i musicisti si aggrappano alle macchinette, gli addetti alla sicurezza si precipitano ai telefoni e bloccano i tornelli messi all’accesso degli uffici, ma vengono spazzati via. Scaramouche corre con in mano lo spirito di Marat, il gruppo delle Colombine, Brighella e Arlecchino con le spade, Pulcinella con la clava formano un’onda che scavalca i tornelli e imbocca le scale verso gli uffici. Pulcinella fa i gradini a due a due urlando Jatevenne mappine! e il gruppo invade il corridoio e come un liquido invade gli uffici, passa sulle scrivanie, sulle sedie, portando con se nuvole di scartoffie. Tutto dura pochi secondi e dietro resta un tappeto fatto di fogli, foto, manifesti, poltrone capovolte, penne, matite e coriandoli. Sui muri del corridoio decine di scritte, la più grande invoca una “cura Robespierre” e “dovete darci il denaro” e “il teatro è dei teatranti” e “afammocc!”. Il gruppo disparato di teatranti incazzati si riversa nella tromba delle scale e si dirige verso il piano terra. Scaramouche evita la porta antincendio che sbuca al piano zero e porta il gruppo al primo piano interrato, imbocca una serie di corridoi di servizio e passa sotto il palco, dagli altoparlanti arriva la voce di uno dei direttori, sta illustrando ai giornalisti e agli altri direttori di teatri nazionali la nuova stagione e i progressi fatti dal teatro, l’aumento della produzione, la competitività, l’aumento dello sbigliettamento nonostante i tagli e la crisi. Dolorosissima crisi, dice. Le maschere spalancano la porta tagliafuoco e cominciano a risalire la scala che da sottopalco porta in quinta – normalmente percorsa dai tecnici di palcoscenico – qualcuno urla un Chitemmuort. Sbucano sul lato sinistro del palcoscenico. Il silenzio in platea è improvviso. La buca dell’orchestra divide i due gruppi. Da una parte i teatranti mascherati, dall’altra i direttori riuniti.
– Che fate lì? Cosa sono queste urla? Come vi permettete di fare questa confusione? Questa è una riunione a cui non siete invitati.
Le maschere guardano in silenzio.
– Questo è un teatro, non una piazza, la gente viene qui per rilassarsi.
Una pernacchia risuona sul palco e il direttore diventa paonazzo, dita bianche di un bianco innaturale stritolano il microfono.
I direttori sono tutti in piedi in platea, dalle quinte e dal fondo palco un terzo gruppo appare: sbucano gli addetti alla sorveglianza, Mr. X, il panzone e i vigilantes del palcoscenico e cominciano a muoversi lenti, radiali verso il proscenio, hanno dei manganelli e pezzi di cantinelle in mano e con un sibilo il sipario tagliafuoco comincia a venire giù.

– Mavafangul.
– Sfaccimm’e chivemmuort.
– …

Gli attori si guardano intorno, quello è il loro territorio. Un sorriso si disegna sui loro volti, lo spirito di Marat viene sollevato in aria alto sulle teste del gruppo di attori che compatti prendono le posizioni provate decine e decine di volte, creano il clima giusto in un attimo. Le continue prove sono servite. C’è il clima teso e vibrante di una prima assoluta. Le ballerine si dispongono. Nessuna fila, nessuna linea, con piccoli passi si dispongono in modo ortogonale, tutti difendono tutti. Respirano insieme, movimenti lenti, fluidi, occhi e mani e armi pronte. Si lanciano contro l’armata dei direttori e il palcoscenico diventa – finalmente – un campo di battaglia.

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