Qual è il fine della cosiddetta „intelligenza“ artificiale?
C’è rispetto e giustizia?
Una premessa, giusto per chiarire alcuni punti: sono fra le persone che sa che non c’è nessuna intelligenza nella macchina. In soldoni: c’è un processo analitico che porta la macchina a fare determinate cose, anche straordinarie, da macchina. Qualora le macchine riusciranno mai in un futuro – chissà – a far qualcosa, riusciranno a farlo grazie a un sapere umano e lo faranno sempre e comunque da macchine. Non c’è e non potrà esserci nessun sapere, nessuna intelligenza, delle macchine.
Ho sintetizzato brutalmente in poche righe ciò che Carlo Sini spiega in ore di lezione. Che Sini mi perdoni.
Quella dell’ingerenza della cosiddetta “intelligenza” artificiale è purtroppo una questione importante, che tocca molti ambiti della vita quotidiana. In un post di pochi giorni fa, Wu Ming 1 ha messo insieme una serie di appunti in cui riflette sulle macchine, che trovo molto molto interessanti. Appunti che riguardano la letteratura e non solo.
Chiedersi a cosa serva uno strumento penso che dovrebbe implicare anche chiedersi per quale scopo lo si vuole usare e che cosa implichi usarlo. Perché altrimenti lo si fa in modo passivo e da lì a usarlo nel modo sbagliato il passo è breve Giusto per fare un esempio, nessuno di noi credo abbia mai pensato di usare un’accetta o una motosega per tagliarsi le unghie. Ci sarà un perché, giusto?
Ora: cos’è una “intelligenza” artificiale? Cosa fa? A queste domande rispondono in modo articolato, convincente e a volte entusiasta alcuni commenti che ho trovato sotto il link all’articolo di Wu Ming 1 postati su facebook da Loredana Lipperini. Sintetizzo ancora: una “intelligenza” artificiale aggrega dati con una apparenza di senso compiuto molto alta in risposta a una richiesta, ma non sa perché. A saperlo è la persona che ha posto la richiesta e, anche se la richiesta ha in sé un trabocchetto, la macchina obbedisce e risponde. Risponde sempre. Anche alla richiesta di scrivere un racconto alla maniera di una persona che non esiste e non ha mai scritto e pubblicato nulla. La macchina restituisce un racconto alla maniera di. Di sicuro è una cosa prodigiosa, ma la domanda dovrebbe essere ora: a che prezzo? Quindi come funziona la macchina? In una nota al suo articolo Wu Ming 1 scrive: “E chissà, forse aver prodotto ‘sto capolavoro è l’equivalente di aver bruciato cento metri quadri di bosco. Mi viene da vomitare.“
Di questo aspetto legato all’uso, all’impatto della macchina, purtroppo non ho letto niente nei commenti sotto il post di Lipperini. Magari il tema lo si è affrontato oggi, può essere. Così come spero lo si inizi ad affrontare. A ogni modo nell’articolo in oggetto la questione dell’impatto devastante di questa tecnologia sulla vita di tutte e tutti è messa in campo, ma mi pare che il focus sulla letteratura abbia attirato la maggior parte degli sguardi e dei discorsi.
In linea di massima nessuno di noi usa una macchina, uno strumento, chiedendosi che impatto abbia sull’ambiente e, se il problema può essere ignorato – forse – per la penna che ho usato per scrivere la bozza di questi appunti, già diventa più stringente per il computer che sto usando per trascriverli. Nel caso delle cosiddette “intelligenze” artificiali la questione è ancora più complicata e più importante. Perché stiamo parlando di macchine che già “solo” per esistere stravolgono territori, consumano incredibili quantità di suolo, energia e acqua. Ricordo un po’ a tutte e tutti che siamo nel pieno di un periodo storico caratterizzato dal riscaldamento globale, che ha innescato un cambiamento climatico che – giusto per fare un esempio minuscolo – permette ai turisti che ho incontrato oggi pomeriggio nel parco di Schönbrunn a Vienna di andare in giro con le sneakers ai piedi perché non fa freddo e non c’è neve. A fine dicembre, a Vienna. Dovrebbero esserci cumuli di neve ovunque, dai bordi delle strade ai parchi e non c’è niente. La neve rimasta è nei cartelloni pubblicitari.
Torno al discorso: costi ambientali enormi, per far cosa? Anni fa, ingenuamente pensavo che una macchina capace di gestire quantità enormi di dati in pochi secondi potesse essere una svolta in campo medico, o comunque nel campo della ricerca scientifica. Ma quando lessi, pochi anni fa, articoli entusiasti che descrivevano in che modo l’”intelligenza” artificiale poteva essere usata durante il conflitto russo-ucraino già in corso venne il vomito anche a me. Così come, leggendo il report di Francesca Albanese, è scritto in modo chiaro il ruolo che queste macchine hanno e hanno avuto nel permettere a “Israele” di portare avanti il suo progetto colonialista e genocida in Palestina.
Chiunque può scaricarsi una applicazione sul proprio telefono per giocare con una “intelligenza” artificiale, ancor peggio sta diventando sempre più difficile evitarne l’uso perché molti motori di ricerca sul web le hanno già implementate. Così come Whatsapp e Instagram. Perciò si va da un uso pavloviano per creare immagini e/o testi per i social, alla scrittura di un saggio o di un progetto, alla traduzione di una email in una lingua che non si conosce, a richieste su come smontare il motore di un frigorifero, alla consulenza legale. In campo letterario si è già aperto un dibattito serio sulle traduzioni, ad esempio. Perché se le case editrici hanno intenzione di usarle per fare tradurre libri dalle macchine senza pagare traduttrici e traduttori il problema è già qui, è già in atto. E poi chissà cos’altro, dall’uso aziendale per controllare i dipendenti e/o “ottimizzarne” il lavoro quotidianamente. Fino anche alla “costruzione” del o della partner ideale e virtuale con cui fare sesso. A questo punto si può pensare di tutto. Ma a che costo?
Ed ora, da scrittore, una nota personale. Nell’ambiente in cui lavoro per guadagnarmi uno stipendio, si è considerati, spesso e da più persone, pezzi di un meccanismo che deve funzionare per produrre qualcosa: una cena piacevole per alcuni, profitto per altri. Considero quindi la scrittura come un tempo e un luogo di libertà, di creatività e di gioia; la considero uno strumento di riflessione e di creazione che mi permette di mettermi in relazione con l’altro da me. Considero quindi assurda la possibilità di scrivere usando una “intelligenza” artificiale. Non ne capisco il senso e non ne vedo il vantaggio, nella misura in cui la scrittura mi dà gioia e libertà. Perché levarmi questo piacere? Come può una macchina aiutarmi a esprimere ciò che ho sentito, visto, esperito? Se – come scrive Colli – “dire il vero è dire ciò che deriva da un contatto”, una “intelligenza” artificiale non può aiutarmi in nessun modo a far sentire a chi legge ciò che è passato attraverso me, in quanto corpo.
Non mi è di nessun aiuto, così come una motosega non può essermi utile per tagliarmi le unghie. Dopodiché la questione dell’insostenibilità ambientale di macchine così tremende non viene affrontato. Ci sono comunità negli Stati Uniti che si stanno battendo per non avere questi mostri nelle proprie città ma c’è sempre il rischio che vengano impiantate in qualche zona del mondo dove l’opposizione non è forte. Non sarebbero certo le prime fabbriche inquinanti e impattanti a venir traslocate in paesi poveri.
Alle domande poste all’inizio rispondo quindi di no. Non c’è rispetto e neanche giustizia in queste macchine, soprattutto perché non sono questioni che sfiorano o preoccupano i vari “geni” che stanno investendo miliardi di dollari nel campo delle “intelligenze” artificiali.
Per quanto mi riguarda, queste macchine fanno parte di una superstizione tutta interna e funzionale al capitalismo. C’è bisogno di un contro incantesimo che faccia aprire lo sguardo e riporti al centro del discorso “cosa può un corpo”. Non solo o non tanto il corpo umano. Ma i corpi che incarnano la vita. Forse la letteratura ha, in questo senso, molte carte da giocare. E il teatro, credo davvero, ha la possibilità di tornare a occupare un posto importante. Basta il corpo di una persona, voce, movimento e un po’ di luce, per fare teatro. È un’arte altamente sostenibile, per quanto soggetta allo scorrere del tempo.

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