Le fandonie, le notizie pubblicate senza una fonte, con leggerezza e superficialità vengono spesso riprese in modo acritico e in poco tempo diventano “verità”.
Gambe storte e corte, piedi a papera, pancia gonfia, pancia da birra, maglietta sudata, voce stridula; cammina come se si fosse appena cacato nei pantaloni; culo basso, braccia lunghe, gambe corte, bacino spostato in avanti, capelli corti e occhiali a specchio. Potrebbe essere una guardia, o un cameriere. Uno fra tanti. A scelta.
E’ uscito pochi giorni fa in libreria Un viaggio che non promettiamo breve di Wu Ming 1, edito (coraggiosamente) dalla casa editrice Einaudi.
Nel post che ha pubblicato su Facebook, Manolo Muoio – di cui mi onoro d’essere ancora in qualche modo compagno di viaggio – racconta una vicenda di rimozione. una vicenda tutta interna alla scena del teatro di ricerca italiano. una vicenda che tocca un collettivo di lavoro, una compagnia. e tocca anche me
La mia rabbia è quella di chi non ha nulla da perdere. Se non una vita intera. È la rabbia di chi si vede rubare la vita. Giorno per giorno, intera, da chi ha tutto e prende ancora. La mia è una rabbia allo specchio, quella di chi ha capito tardi d’aver avuto soltanto una vita. E nient’altro.
Camminavo e camminavo e
mi dicevo
se non voglio morire non morirò
Un passo e poi
Un passo ancora più in là
Sempre e ancora
Uno
Poco meno di un mese fa ho ricevuto un’email da Lou Palanca 3, era indirizzata a un gruppo di narratrici, narratori, intellettuali, artiste e artisti calabresi. Ci invitava a sostenere pubblicamente i gestori dell’agriturismo ‘A Lanterna di Monasterace (RC) che hanno subito sette attentati in sette anni, l’ultimo poco tempo fa.
Di seguito trovate il racconto che ho scritto e che dedico a chi resiste in Calabria, con ogni mezzo necessario.
Buona lettura.
L’impressione che ho è che le città inizino ad assomigliarsi un po’ tutte, a partire dalle stazioni ferroviarie. Sarà forse perché una volta scesi dal treno ci si ritrova davanti bar, negozi e librerie che fanno parte di catene commerciali. Stessi marchi, stesse vetrine, stessi prodotti un po’ ovunque.
La tendenza è verso un modello commerciale che rende i centri delle città interscambiabili tra loro, nella sostanza.