Scrivere poesie è una delle cose più difficili da fare, pericolosa anche. Fa un po’ tristezza vedere che di questi tempi gli si dia poca importanza. Almeno così mi pare, anche se in musica – nel rap ad esempio – si scrive facendo attenzione alla rima, al ritmo quantomeno. Ma è un altro discorso. A ogni modo, se c’è chi non legge, non ascolta, non si cura della poesia, beh allora – mi dico – non sa cosa si perde e se ha anche una opinione in merito, non sa di cosa sta parlando. Perché se è vero che il linguaggio è lo strumento più potente fra gli strumenti creati dall’animale umano, la poesia è lavoro con e sul linguaggio. Lavoro svolto per andare oltre l’apparenza del mondo, per far emergere quantomeno un minimo di senso dal quotidiano, per creare momenti di svelamento e meraviglia, per risignificare il mondo. E si potrebbe andare avanti. La cosa fondamentale è prendere atto che mentre il linguaggio – lo strumento per eccellenza – viene banalizzato dai media, dai giornali ai social network, c’è chi se ne prende ancora cura. Ho letto la raccolta di poesie Canzoniere storto di Ernesto Orrico, e dire che mi è piaciuta è poco e non rende giustizia al lavoro di scrittura. Così ho messo un po’ d’ordine fra gli appunti presi negli ultimi due mesi, più o meno, mentre viaggiavo tra casa, lavoro e l’istituto di lingue dove sto frequentando un altro corso di tedesco, spesso mentre ero immerso nella lettura – e rilettura – del libro di poesie di Ernesto, oppure quando il libro era via tra gli altri nella borsa mentre camminavo per le strade della mia città e arrivavano i ricordi, le giustapposizioni, i collegamenti fra libri, voci, suoni e versi di materia e memoria presente, viva, pulsante. E perciò mi fermavo per fissare su carta alcune frasi, che riporto ora su questo supporto inconsistente.
Due giorni fa ho finalmente registrato il quattordicesimo capitolo. Il titolo è Rapa Nui, si racconta dell’isola di Pasqua.
Nel frattempo anche qua a Vienna hanno imposto l’obbligo di portare la mascherina ffp2 anche all’aperto in alcune piazze come Stephanplatz, Schwedenplatz… I luoghi in cui c’è l’obbligo sono opportunamente segnalate tramite enormi cartelli. “Noi al posto del virus”, dicono. Boh. Il primo giorno di divieto mi sono ritrovato, appena uscito dalla metro a Schwedenplatz, non uno ma due furgoni della Polizei e relativi PolizistInnen che stazionavano a pochi metri dalla scalinata che porta al luogo dove fu “spento” l’autore dell’attentato di Novembre scorso. Ci sono passato in mezzo ai PolizistInnen, il percorso era obbligato, ed erano tutt* senza mascherina. Sarà stato perché era ancora parecchio presto e di prima mattina si è tutt* un po’ assonnati? Oppure sarà stato perché indossare la mascherina all’aperto è una minchiata?
Cosa c’entra questo con la storia di Rapa Nui? C’entra – mi dico e credo – nella misura in cui forse in troppi si sta guardando, in cerca del pericolo, nella direzione sbagliata.
Proprio come i Moai.
Dopo aver registrato i capitoli “L’isola del tesoro”, “Dov’è il centro del mondo” e “L’albero di Bottego… o di Mahamed?”, l’estate scorsa in occasione dell’invito a partecipare al festival STORiE di Stra-ordinaria follia (ne ho scritto qua), non ho più registrato nulla. Mi sono fatto prendere dai ritmi del lavoro quotidiano, dalle preoccupazioni che affliggono più o meno tutte e tutti. Ieri ho ripreso in mano il libro e mi sono detto che questo lavoro è da finire. Anche perché siamo più o meno dove eravamo, lockdown dopo lockdown. Le “fasi” si susseguono e di fatto non è che cambi granché. In balia di inettitudini, restrizioni, guardie armate e ignobili esseri che misurano la vita con PIL, con un virus che muta e un vaccino che chissà quando verrà davvero somministrato a tutte e tutti. E non mi riferisco solo a chi vive in Italia o in Austria o in Europa, ma a tutte le persone che abitano questo pianeta, a prescindere dal colore della pelle, dal PIL del paese in cui si vive, dal genere e dalla posizione sociale.
Leggere queste storie fa venire voglia di andare a camminare, lasciarsi la porta di casa alle spalle e entrare nella strada, aprirsi all’incontro. Che è gran parte di ciò che manca, l’incontro. E perciò ecco qua il capitolo 11:
Stamattina al parco mi sono seduto ai piedi di un albero. Gea e Sirius mi si sono accovacciati accanto, avrebbero preferito che li liberassi per andare a zonzo per un po’. Non l’ho fatto, ho ancora paura che si imbattano in qualche schifezza e, nonostante la museruola, si ammalino di nuovo. Non ce lo possiamo permettere da nessun punto di vista. E da lì, dai piedi di un albero, mi sono chiesto quanta “normalità” pre virus stia tornando. Ho ascoltato il ritmo del traffico che è aumentato, l’aria che sta peggiorando tornando alla normalità. Ho fatto la tara alla mia ansia legata ai soldi, che mancano sempre più, al lavoro che non si sa se e quando riprenderà. Al “cosa fare”, ancora una volta. Ho aperto una delle poche app che ho ancora sul telefono e mi sono riletto la mail che ho ricevuto pochi giorni fa da un amico. Riflettevamo a distanza su questa fase 2. Scrive:
24.04
L’altro ieri ho finito di registrare il quinto capitolo, ieri l’ho riascoltato e poi inviato alla nipotanza. Questo quinto capitolo ha un andamento diverso dagli altri, all’inizio l’ho trovato strano ma poi lavorandoci credo di essere riuscito a trovare un accordo tra il mio ritmo e il suo. Chissà se è venuto davvero bene. Intanto è fatta, ed esserci riuscito dopo un bel po’ di giorni di tribolazioni, è una piccola soddisfazione. Proverò a lavorare con un po’ più di dedizione alle letture, così che non passino così tanti giorni fra una e l’altra. Non tanto per assolvere a un dovere, ma per mantenere una promessa. Sirius continua a tenermi compagnia durante tutta la durata delle registrazioni, Gea preferisce andare via a un certo punto, al solito.
09.04.
Alcune notti fa stavo passeggiando per le vie del mio quartiere in compagnia di Gea e Sirius. Loro annusavano e facevano i loro bisogni lungo muri, aiuole e parchetti, con le aree giochi recintate con il nastro bianco e rosso della polizei, e mi chiedevo cosa potessi fare per le figlie e i figli di fratelli, sorelle e compagn* e amic* che da settimane sono rinchiusi ai domiciliari fra Italia e Inghilterra. Quando a un certo punto mi sono detto che potevo leggere e registrare un libro e inviare loro le sessioni di volta in volta. Sì, ma che libro? La scelta è caduta subito su Cantalamappa di Wu Ming. Per tre ottime ragioni:
Ciò che segue è un omaggio all’attore Leo Modonnét – e alla maschera di Scaramouche – le cui gesta sono narrate ne L’Armata dei sonnambuli. Ogni somiglianza a fatti e/o persone è da ritenersi casuale, per quanto la situazione teatrale italiana renda verosimile e plausibile ciò che è qui narrato. Buona lettura.
Ci sono testi che per essere compresi necessitano di diverse letture, almeno per me è così. A volte devo leggerli a voce alta per afferrarne il senso.
Ci sono però anche testi che restano sordi a molteplici letture. Testi di latta.
Per lo più sono testi che pretendono di “comunicare” e – magari – di farlo anche senza nessuna implicazione ideologica. Si presentano come testi “tecnici”, neutri.
Sono i più buffi e – spesso – i più pericolosi.
Ci sono spettacoli che riescono a instillare un congegno a tempo nell’immaginazione degli spettatori e, a distanza di giorni, quel senso “ottuso” (come lo definì Roland Barthes) che è li nascosto, a volte anche all’insaputa dell’autore, esplode all’improvviso.
In questi anni ho scritto un po’ di riflessioni sul teatro e le ho pubblicate sul sito Satyrikon.org non qui.
Periodicamente mi allontano dal Teatro per poi tornare in modi diversi, uno di questi è la scrittura. Ho scritto sul teatro approfittando dell’occasione che mi hanno dato alcuni spettacoli che, in un modo o nell’altro, si sono staccati dalla massa di “tutti gli spettacoli che ho visto/ascoltato negli ultimi tre anni”.
Sono pochi ma per fortuna ci sono stati.
Di seguito trovate i nomi e i relativi link ai post su Satyrikon:
APPUNTI SU “DOPO LA BATTAGLIA” DI PIPPO DELBONO
LE PRESIDENTESSE DI WERNER SCHWAB A PROSPETTIVA150
The Walk di Bosetti/Cuocolo
Il resto, con riflessioni e appunti anche di @satyrika, lo trovate qui