I social, il lavoro e lo sfruttamento del tempo
[Dopo aver letto l’articolata, precisa e potente riflessione sui dieci anni di uso di Twitter L’amore è fortissimo, il corpo no parte 1 e 2 di Wu Ming, ho riflettuto ulteriormente su alcune scelte che ho fatto negli ultimi mesi e ho scritto il post che segue. E’ una riflessione parziale la mia, ovviamente, e tocca sia il mio uso dei social che il lavoro che ho fatto negli ultimi anni. Il lavoro nella ristorazione sarà l’argomento del mio prossimo lavoro narrativo tutto working class. Vi invito comunque a prendervi tempo e andare a leggere quanto scrive Wu Ming, come dico da anni Giap è per me un corso di sopravvivenza on line. Lunga vita a Giap!]
Riprendere a scrivere sui blog, anche sul mio, non è così semplice. Almeno all’inizio. Anche se i lettori degli articoli sono molti di meno, ripetto ai lettori dei tweet o dei post sui profili social. Forse dipende dal fatto che il blog è, o dovrebbe essere, qualcosa di un po’ più strutturato e “serio”. Almeno questa è la mia impressione. Non la indago oltre, ma ho sperimentato in questi ultimi mesi che appare molto più semplice scrivere un commento in risposta a un post su facebook, che non scrivere un articolo su un blog. Magari con lo stesso contenuto, certo un post strutturato e scritto, si spera, meglio. A ogni modo, rieccomi qua, a riprendere una vecchia abitudine, per eliminare quelle che ormai da qualche anno erano diventate cattive abitudini. Troppo tempo sottratto non solo alla vita tout court ma anche alla lettura, alla riflessione e alla scrittura. Tempo, mi dico da un po’, buttato via dietro discussioni che spesso degenerano in sfanculamenti reciproci. Non che la cosa non possa accadere anche su un blog, solo che, ecco, credo che la cosa sia diversa. Questione di stile, di approccio e di tempistiche.
Dopo la pubblicazione del Diario di zona verso la fine del 2014, e in contemporanea all’evoluzione/involuzione di Twitter, avevo meno da scrivere, ma continuavo imperterrito ad usare i social network ogni giorno. Il libro era stato pubblicato anche grazie al lavoro che avevo fatto tramite i tweet, ma ormai era diventata una necessità restare lassù a “twittare” per curare dei rapporti e trovare nuovi stimoli. Passava il tempo e mi rendevo conto che però avevo ben poco da scrivere lassù, rispetto a prima.
In questi ultimi tre anni ho lavorato nella ristorazione, accumulando ore e ore e ore di straordinario, stress e stanchezza che mi hanno gioco forza tenuto lontano dai social. Ma di tornare a scrivere su questo blog non ne avevo né la forza né la voglia. E facendo ciò mi rendo conto di aver perso un’occasione per costruire qualcosa, anche se piccola e virtuale, e avere invece buttato il poco tempo che avevo a scrollare la time line di Twitter e Facebook tenendo viva l’illusione di avere ancora un filo che mi tenesse in contatto con persone che vivono lontano e con cui non ho più modo di incontrarmi dal vivo. I social mi davano l’impressione di poter restare, comunque, nel giro di conoscenti e amici anche grazie a un like, una battuta, una discussione, anche se poi tutto si perdeva in un flusso continuo di post e status e foto. Anche ciò che di buono – se c’è stato – in questi anni ho scritto su facebook è ormai perso in un mare di cazzate. Avessi dedicato più tempo al blog forse adesso avrei qualcosa di decente in più in archivio?
Forse, non è detto.
Alcune settimane fa il mio smartphone ha smesso di funzionare e io che già usavo poco le varie applicazioni mi sono ritrovato senza niente. E’ stata però una liberazione poter controllare la posta solo da pc e rendermi conto di quanto tempo, fuori di casa a spasso coi cani o durante una commissione ad esempio, dedicavo alle dinamiche dei social. Da quando ho diminuito l’attenzione ai miei profili virtuali ho ripreso a leggere di più, a guardare di più per strada e a prestare più attenzione a chi mi sta accanto. Non che prima me ne fregassi del tutto, ma ero distratto. La mia attenzione era parziale e l’eccesso di informazioni mi stancava ulteriormente.
Cattive abitudini, “quasi sempre appagate”, appunto.
In aggiunta a tutto ciò c’è la riflessione sul valore del tempo buttato via. Questo tempo è il tempo della mia vita, che trascorro a “scrollare” la timeline, guardare un video o leggere un articolo postato su Facebook o Twitter e che gli algoritmi che reggono quelle baracche trasformavano in moneta sonante per i padroni. Fossero anche solo pochi euro, per me che da anni e anni sono precario, la cosa mi ha dato e mi dà fastidio. Vedere il mio lavoro in rete sfruttato e il valore sottratto così come quello nella vita reale ha fatto scattare in me la volontà di tirarmene fuori. Con calma e consapevolezza. Certo lo sapevo già che ero (e sono ancora) io il prodotto, i miei interessi, le mie ricerche e reti di relazioni. La cosa è diventata insopportabile e fonte di stress nel momento in cui è diventato evidentissimo per me il legame fra la pressione al “fare di più”, al “produrre di più”a lavoro e la pressione a reagire di più e più velocemente sulle nuove versioni sia di Facebook , che di Twitter e Instagram. Per tacere di Whatsapp, che continuo a tenere solo perché è l’unico modo con cui riesco a comunicare con le due parti della mia famiglia in Italia. Adesso ho due sole chat. A ogni modo mi sono reso conto che c’era qualcosa che mi spingeva a cercare di fare di più, e c’era una mai sufficiente soddisfazione nel vedere notifiche, like, cuori e lucine varie. Dalla sala del ristorante allo schermo dello smartphone, da una macchina all’altra senza soluzione di continuità, c’è una dinamica ansiogena e coercitiva che appartiene a questi ritmi di produzione. Esagero? Non so, io me la sono vissuta così e so che è roba che non mi appartiene.
Così ho assecondato la voglia di eliminare diverse App. prima e, nel momento in cui s’è rotto l’iphone, a usare un vecchio telefono con solo messaggi e chiamate. Questo mi ha aiutato a ridiventare consapevole del mio tempo e del mio lavoro anche in rete, così come del suo valore, e della necessità di proteggerlo. Fosse anche solo per rispetto verso me stesso e profondo disprezzo verso chi sfrutta il mio lavoro. Il mio e quello di tutt* le/gli altr*. Lo so che suonerà forse naiv ciò che sto scrivendo ma è tutto vero: anche su internet c’è lo sfruttamento, anche quassù c’è la lotta di classe. C’è qualcuno che crea dei modelli per far produrre di più e c’è chi si incatena ai modelli – più o meno consapevolmente – per far girare la macchina. Ognun* di noi può scegliere cosa fare e di fatto sta scegliendo comunque.
Ora mi sto riprendendo il mio tempo. Non lavoro più nella ristorazione, ho ripreso a scrivere e a studiare il tedesco. Oltre a vivere meglio.
Ciao Luigi,
Accidenti, mi rendo conto ora che sono secoli che non commento su un blog 🙂 Pensa che ci ho messo due giorni per recuperare le credenziali di WordPress.
Anche a me la riflessione di Wu Ming ha colpito molto. Ho spesso pensato a quel periodo in cui tutti i nostri blog avevano formato una rete di connessioni, in cui le idee rimbalzavano e si moltiplicavano. Si è trattato di un periodo molto bello e fertile per me, nonostante la situazione lavorativa in cui ero. E ho a volte coccolato l’idea di riprendere il mio blog. Mi è sempre sembrato che fosse il momento sbagliato, che quello che scrivevo non avrebbe contato nulla per nessuno. Lavorando in rete nella scrittura di contenuti, ho sviluppato questo nichilismo assoluto che mi porta a pensare che quello che accade qui sopra non conti nulla e sia solo rumore aggiunto al marasma di pubblicità e fake news che è ormai l’atmosfera che si respira in rete. Ma credo – spero – di essermi sbagliata. Si può costruire altro in rete, se solo ci si lascia il più possibile alle spalle le dinamiche dei social, come avevamo fatto.
Chissà che non riprenda il blog per davvero.
Grazie per il tuo post.
PS: ho appena visto che dal nome utente non si capisce, ma sono Adrianaaaa 🙂
Grazie a te per aver letto e commentato, innanzitutto. Io sono fiducioso – nonostante l’andazzo – che si possa costruire qualcosa, ci vorrà tempo e costanza e un po’ più di consapevolezza. La sbronza da social sarà servita a qualcosa se si riuscirà a trasformarla in esperienza. Questo è quello che mi sono detto. Non sto frequentando social come Mastodon, non ancora almeno, e non lo conosco ma lo prendo come esempio per pensare a comunità consapevoli e attive che possano costruire qualcosa per il futuro. Visto che comunque della rete non è che si possa ormai fare tanto a meno, tanto vale starci in un modo – ripeto – più consapevole e costruttivo. Consapevoli del valore anche del proprio lavoro, ricordo le tue storie e il valore dei tuoi commenti su Giap. Spero che anche tu riprenda a scrivere sul tuo blog, ricreiamo la nostra “rete di connessioni” 🙂