Sfruttamento, ristorazione e genocidio

Nell’introduzione al suo rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Francesca Albanese scrive:

“Le imprese coloniali e i genocidi ad esse associati sono stati storicamente guidati e resi possibili dal settore aziendale.”

Alla fine di questo articolo spero di poter rendere evidente che i collegamenti fra imprese e genocidio attraversano anche il settore della ristorazione. E vorrei ricordare un po’ a tutti gli operatori della ristorazione che, come scrive Jonathan Littell nel suo romanzo Le benevole: “vi riguarda: vedrete che vi riguarda.”

A luglio, dopo la pubblicazione del post Ristorazione, catene di comando e ritornelli, mi ero ripromesso di smettere di cercare notizie sulla ristorazione in generale e di quelle italiana e austriaca in particolare. Soprattutto dopo l’ultima vicenda che ha visto protagonista uno dei tanti chef stellati della ristorazione italiana. L’estate è andata via portandosi dietro lagne di ristoratori e numeri di fatturato e – come un po’ tutte e tutti – i miei pensieri sono stati assorbiti da ben più importanti preoccupazioni. Ad esempio il genocidio in atto a Gaza per mano dell’esercito israeliano.

Ho ripreso a lavorare in sala da pochi giorni. Ripresi i ritmi di lavoro, così come dietro al bar ho staccato un braccio della Cimbali per farmi un caffè decente, a casa ho avviato il computer e, sì, sono tornato a cercare in rete notizie sul meraviglioso mondo della ristorazione. Un mondo che – mi sbagliavo – riserva sempre qualche novità. Anche se in fondo, sono solo conferme. Perché è un luogo protetto dal vento del cambiamento.

Mi sono imbattuto in alcuni articoli su due storie recenti, di cui una ambientata a Pistoia, l’altra a Torino.

Leggo che a Pistoia è indagato il grossista di carni di Campi Bisenzio Alessandro Verzani, insieme ad altre quattro persone, con l’accusa di “somministrazione illecita di manodopera, falsificazione di fatture e sfruttamento dei lavoratori”. Chiusi i ristoranti Carnam di Campi Bisenzio e i due Borderline di Firenze e Campi Bisenzio. Leggo che “le aziende avrebbero utilizzato cooperative fittizie per ‘affittare’ manodopera senza alcuna autorizzazione ministeriale, aggirando le norme su retribuzione, orari e contributi previdenziali. I lavoratori e le lavoratrici venivano impiegati come dipendenti a tutti gli effetti, ma con diritti ridotti, straordinari non pagati, ferie negate e senza scatti di anzianità. In alcuni casi parte dei 103 lavoratori, erano assunti [sic] regolarmente ma a condizioni retributive e contrattuali gravemente lesive.”

A Torino la questione è invece un po’ più complessa ed estesa. Intanto abbiamo il nome di una ‘operazione’ che ha nome Epicentro – curiosamente lo stesso nome che la procura di Reggio Calabria ha dato a un processo contro la ‘ndrangheta – e vede coinvolte la procura di Torino e la Guardia di Finanza. Le aziende coinvolte sono due gruppi imprenditoriali colossi della logistica e della ristorazione: la Cargobroker (già in liquidazione) e la Postalcoop di Daniele Goglio (nome che torna all’interno dell’inchiesta “Carminius” della Direzione distrettuale antimafia di Torino). Le accuse sono quelle di somministrazione illecita di manodopera mascherata da appalti di servizio di personale a basso costo, associazione a delinquere, dichiarazione fraudolenta, omessa dichiarazione, omesso versamento d’IVA e sfruttamento di 2000 lavoratori. Un complesso sistema di “aziende serbatoio e aziende filtro” grazie al quale “tutti guadagnano tranne i lavoratori e lo Stato”. La mente individuata dietro queste catene di aziende spesso fittizie è quella di Francesco Bafunno, figlio di Pasquale, ideatore del ‘metodo Bafunno‘, già coinvolto in indagini legate alla ‘ndrangheta.

I locali sequestrati a Torino vanno dallo storico Bar Norman (dove fu fondata la squadra del Toro), ai due ristoranti Suki Sushi, al Wallpaper, al Lagrange, al Sushi del Manzo, ad “un altro bar in via Po” (che appunto non viene nominato), per finire con Parkamion a Settimo torinese.

Le indagini condotte da Guardia di finanza e Direzione distrettuale antimafia di Torino dimostrano e confermano che il territorio piemontese è altamente permeabile all’infiltrazione mafiosa; che la ristorazione è un ‘business’ in cui si possono facilmente investire soldi – spesso per essere riciclati – provenienti da aziende che hanno guadagnato milioni sulle spalle dei lavoratori; che sono sempre i lavoratori stessi a pagarne le conseguenze, perché si ritrovano alla fine senza una fonte di reddito; e che indirettamente, a causa delle diramazione dell’impero – ad esempio quello della Postalcoop -, il lavoro sfruttato di una o un operaio di una qualunque di quelle aziende è andato ad arricchirne altre come SDA, GLS ed Amazon Italia. L’azienda madre Amazon nega ma, dalla lettura degli articoli che si occupano della vicenda, pare che le prove in mano ai magistrati siano solide.

Ricordo en passant che Amazon è una delle tante aziende che stanno guadagnando sul genocidio in corso a Gaza per opera dell’esercito israeliano. È stata inserita nel punto 5 di pagina 8 del già citato dossier di Albanese Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio perché, insieme ad Alphabet inc. (Google), è stata selezionata dal governo israleliano come assegnataria del Progetto Nimbus. E a me che piace creare collegamenti risulta rivoltante che del lavoro sottopagato di cameriere e camerieri (prima sfruttati e ora disoccupati) abbia beneficiato anche un’azienda accusata di lucrare sulle vite dei palestinesi sottoposti da decenni all’occupazione colonialista e genocida di Israele.

Giorni fa, durante una presentazione di Risto Reich all’interno del festival Brutti Caratteri a Verona, dissi che in una società giusta ora i vari Norman, Lagrange o Carnam dovrebbero essere gestiti direttamente da chi ci ha lavorato negli ultimi anni. Sono le lavoratrici e i lavoratori, che hanno speso lì dentro ore – per di più sottopagate, ribadisco – della loro vita, i primi ad avere il diritto di poter gestire quei ristoranti e bar. Non so se ne verrebbe fuori una gestione eticamente migliore di per sé, perché non è detto che chiunque lavori nella ristorazione sia mosso da buoni propositi e non dal profitto, ma forse l’assenza di capi e capetti, di società e dividendi, di contratti a chiamata, tirocinio, apprendistato, stage, così come l’assenza di pagamenti ‘fuori busta’, orari e ritmi di lavoro dignitosi renderebbero l’aria un po’ più respirabile e sì – credo di sì – sarebbe un primo passo verso un sistema un po’ più giusto. Forse il numero di bar e ristoranti diminuirebbe sensibilmente. Visto l’attuale andazzo e la crescita ipertrofica degli ultimi anni, non è detto che sia una brutta cosa.

Durante una manifestazione pro Palestina qua a Vienna i manifestanti hanno fischiato e urlato “vergogna” ai clienti che sedevano nei dehor di Starbucks e Mc Donald’s, aziende che vengono boicottate da almeno due anni nei paesi dell’Asia occidentale perché ritenute complici di Israele (da quanto leggo, la multinazionale del caffè anche per condotta antisindacale negli Stati Uniti). Mi aspettavo che urla e fischi volassero anche nei confronti della filiale di KFC, ma non è avvenuto. La sacrosanta protesta delle ultime settimane in sostegno alla causa Palestinese e alla Sumud Flottilla (intercettata in modo illegale dall’esercito israeliano in acque internazionali) e il conseguente movimento di boicottaggio vanno a colpire anche il settore della ristorazione e del cibo, perché è un pezzo di mercato enorme che tocca intimamente ognuno di noi. Chi ha voglia di bere un caffè, un aperitivo o mangiare un panino sapendo che, facendolo, si diventa complici e sostenitori di un sistema che sfrutta i lavoratori, ricicla soldi sporchi delle mafie o – peggio ancora – lucra su un genocidio?

Forse arriverà il momento in cui le aziende della ristorazione inizieranno a comportarsi in modo corretto nei confronti dei dipendenti, così come arriverà il momento in cui le grandi multinazionali smetteranno di fare affari con Israele. Quando quel momento arriverà, dovremo però ricordarci che la causa sarà data dal fatto che avranno trovato il modo di guadagnare montagne di soldi altrimenti. Se l’attuale sistema economico, basato sullo sfruttamento, non cambierà radicalmente, i problemi verrano al massimo spostati, mentre guardiamo da un’altra parte. Al momento l’unico argine che vedo a questo orrore sono le persone che sono scese in piazza in Italia e nel resto del mondo per fermare il genocidio in corso a Gaza, i componenti della Global Sumud Flottilla, della Freedom Flottila, tutte e tutti coloro che mettono in prima linea i loro corpi, i  lavoratori e le lavoratrici che hanno bloccato i porti, quelli della ex GKN, la popolazione palestinese tutta, e tutti coloro che non accettano in nessun caso di confondere vittime e carnefici e di applaudire il bullo di turno solo perché ha momentaneamente smesso di picchiare.

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