Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte quarta

12.05

Le giornate sono più lunghe e fredde. Un’ondata di freddo che arriva dal nord (da dove sennò?) ha fatto riabbassare le temperature e su Vienna soffia un vento gelido che spazza via lo smog che – insieme al traffico – è tornato in città. Era meglio prima, continuo a dire fra me, riecco la normalità.
Come tante e tanti in questi ultimi mesi, evaporato il lavoro, ho messo su un minimo di routine che non mi facesse partire la brocca. Che poi ci vuole poco, basta vedere con quanta velocità tutto quello che credevi di aver messo da parte per “stare tranquillo” vola via per un imprevisto, una malattia. I soldi si muovono a senso unico e i nervi iniziano a cedere.

A ogni modo, ho continuato a leggere, ho ripreso ad avere a che fare – si fa per dire – di nuovo con il teatro (leggendo le pagine di Cantalamappa), ho continuato a scrivere, studiare e a suonare il basso. C’è sempre tanto “io” in queste righe, ma non sono mai stato da solo. Questo io è una maschera. I momenti di sconforto non sono mancati, producendo in caduta tutta una serie di squilibri in casa con conseguenti rotture di coglioni. Sono molto bravo a fare casini. Ora le cose stanno riprendendo una loro piega, merito anche della pratica buddista e dello studio. La cosiddetta fase due ha dato una ulteriore accelerazione alla vita: la gente esce più spesso di casa, c’è più movimento nei parchi con gruppi di persone che gioca e fa attività fisica. Cose che è facile vedere qua a Vienna a ogni primavera, d’altro canto. Mi pare sempre più che le cose si stiano rimettendo in prospettiva, riaffiora la normalità. Mi chiama ieri il padrone del locale dove ho lavorato. Mi dice che, se sono disponibile, lui mi riassume da venerdì 15.05, giorno in cui potranno riaprire le sale di ristoranti e pizzerie. Io dico già sì, certo, sono disponibile e già mi immagino che lavorerò a dieci ore la settimana e faccio i conti mentalmente per riuscire ad arrivare a fine mese. E lui mi dice che se per me va bene mi assume full time già da venerdì e mi da già il calendario per le prime due settimane di lavoro. Quattro giorni da 10 ore di lavoro. Mi dice che lavoreremo con le mascherine e che ci saranno pochi tavoli – a misura di sicurezza – sia dentro che fuori il locale. E io sento una leggerezza che mi invade lo stomaco al pensiero di riavere uno stipendio, una leggerezza che mi stupisce un po’ e che mi fa stare meglio. Non penso al lavoro e a tutto ciò che per me rappresenta. Penso soltanto al fatto che torneremo ad avere i soldi per vivere, senza dover chiedere aiuto a destra e a manca. Certo sono sollevato, allo stesso tempo sento che qualcosa stride. Perché la normalità che sta arrivando è la stessa – o minaccia di essere la stessa – di quella che c’era prima della pandemia. Uguale uguale e forse anche peggio. Con la differenza che indossiamo le mascherine e ci laviamo più spesso le mani, stiamo a distanza di sicurezza per paura di contagiare o essere contagiati. Paura. Tutto qua? Questa è la “normalità”: uno stipendio a fine mese e riuscire a pagare le spese? Una routine che struttura la vita, non tanto un senso. Ringrazio – certo – e valuto anche quello che sta avvenendo intorno a me e so che non mi posso accontentare. E non è questione di volere di più. E’ questione di Qualità. Di tempo e gioia di vivere una vita degna, e che sia tale per tutte e tutti. Tornerò a lavorare dunque, bene, ma come? In che modo? Forse è su questo “come” che posso agire, posso cambiare ancora modo di avere a che fare con la “macchina” e così riconquistare ulteriori pezzi di dignità. Non solo per me, ma anche per quella massa di persone che – come me – fanno parte della classe lavoratrice. Anche fossero solo chi lavora nella ristorazione sarebbe già tanto. E se ogni persona iniziasse a considerarsi parte di qualcosa e, anziché pensarsi da sola in mezzo a questo nulla, agisse di conseguenza? E se…

Don’t be the problem, be the solution
Don’t be the problem, be the solution…

E in tutto ciò non posso non ripetere che mi è andata bene. Che rispetto a tante altre persone sono fortunato. Che nel giardinetto che c’è lungo la strada che porta al parco da due notti si è accampato un signore che avrà pochi anni più di me e ha uno zainetto, un giacca a vento e un sacco a pelo. L’altra notte me lo sono ritrovato avvolto nel sacco, sdraiato sulla mia sinistra poco oltre la siepe e mi sono preoccupato che Sirius non lo innaffiasse. Non sono riuscito neppure a salutarlo. L’ho guardato mentre fumava una sigaretta con lo sguardo perso davanti a se. Anche questa è la normalità. E la risposta vera può essere solo collettiva a questo rumore di fondo di ingranaggi che forzano e cuscinetti che vanno a fuoco. Di macchine che intasano le strade, di fumi e sirene e insipido blu polizia.
Continuiamo a sanguinare.


You’re waiting on miracles
We’re bleeding out
Thoughts and prayers, adorable
Like cake in a crisis
We’re bleeding out
While you deliberate
Bodies accumulate

Colonna sonora TalkTalk – A Perfect Circle

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