Rage against…

La mia rabbia è quella di chi non ha nulla da perdere. Se non una vita intera. È la rabbia di chi si vede rubare la vita. Giorno per giorno, intera, da chi ha tutto e prende ancora. La mia è una rabbia allo specchio, quella di chi ha capito tardi d’aver avuto soltanto una vita. E nient’altro. Nient’altro che unghie nere e pelle screpolata dal vento, bruciata dal sole, spaccata dal freddo. Dita storte nell’inverno che sta arrivando. La rabbia di molti. I miei morti, quelli che mi passano accanto, che mi seguono muti, parlano attraverso i miei modi. Io sono molti. Sono la rabbia di molti. Ho in me il sapore del pane cotto su una pietra, della farina di castagne, ricotta calda e olive, pomodori, cipolle, aglio. Il sapere dell’uva, la forza del mosto, la rabbia della fermentazione, la pazienza dell’olio. La  mia rabbia nasce in una terra che è scura, pesante dell’umidità di montagna, il profumo dei pini, dell’ulivo, della quercia e del castagno. Un sorriso minerale. Rocce verdi venate di quarzo. Sotto un cielo freddo che si muove verso il mare. La mia rabbia, il sole del deserto, un cuore di sabbia bollente contro la barriera. Il sale dello Jonio, la voce delle onde, il pianto dei bambini. Una gioia, una vita. Una rabbia antica.

 

[Fine febbraio 2016 alla frontiera del Brennero un ragazzo eritreo, che ha uno e molti nomi, fu preso in consegna da quattro guardie, non aveva documenti, né bagaglio. Aveva un sorriso triste. Era su un treno diretto a Monaco, lo hanno fermato e rimandato indietro.

  • Indietro dove?
  • Non le interessa.
  • Sì.
  • Indietro, qui non può stare.
  • Ha un foglio di via dall’Italia.
  • Qui non può stare.

Guardie di frontiera. Non c’è onore e neppure una barriera.]

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