P38 Gang – una riflessione

  “La libertà di filosofare e di dire ciò che sentiamo: difendere la libertà in ogni modo, libertà che è in ogni modo compromessa dall’eccessiva autorità e invadenza dei predicatori” – Spinoza

 

Cosa fa il rap, come spiegarlo ai bianchi?

La musica rap ha una storia lunga qualche decennio – dagli anni ’80 del 900 – e le sue origini affondano nelle profondità della cultura nera americana. Nel 1989 uscì il libro Signifyng Rapper (traduzione italiana: Il rap spiegato ai bianchi, ed. minimumfax, 2000) di D.F. Wallace e M. Costello, in cui i due autori tentavano di dare una spiegazione articolata del fenomeno del rap/hip hop. Il libro è ancora attuale pur restando un’opera fortemente legata al periodo storico in cui fu scritta e uno dei punti focali è che la musica rap è musica di strada e racconta di vita cruda (che spesso è di merda). E’ musica che non ha melodia, ha testi che possono offendere e dà voce a chi voce non ha. Il rap può diventare un mezzo per far soldi, per uscire dal ghetto in cui la società rinchiude le minoranze. Se si uscirà o meno dal ghetto sarà anche questione di fortuna, se se ne vorrà uscire da soli o in modo collettivo resta una scelta aperta. Ci sono rapper che in questi decenni sono divenuti multimilionari (perdendo potenza espressiva) ed altri che sono morti vittime di faide tra gang. Ci sono oggi rapper emergenti che aspirano a diventare ricchi e famosi, non più solo negli Stati Uniti ma nel mondo intero. Fra loro c’è chi scrive e canta anche per costruire un immaginario alternativo a quello che va per la maggiore in questo periodo storico. Il rap ora è diventato mainstream, pur restando un genere musicale che rimanda alle periferie delle città. Così come il blues resta legato sia al lavoro degli schiavi nei campi di cotone, che ai ritmi delle fabbriche delle città del nord america. Anche se si fa rap nelle periferie di città come Cosenza o Napoli o Nuoro, si sa, si percepisce, che si sta attingendo a quelle radici lì, quei suoni e quelle storie, non altre. Giustamente Wallace e Costello sin dalle prime pagine scrivono che un maschio bianco ascoltando il rap (musica nera scritta e cantata per persone nere) può essere in imbarazzo, almeno quanto un maschio eterosessuale che in un sexyshop si ritrovi all’interno del settore non per ma con gli uomini. Ad esempio con il ritrovarsi a cantare versi come Say it loud / I’m Black and Proud / Say it loud / I’m Black and Proud.

Una delle definizioni di rap di D.F. Wallace

Il rap serio è un movimento musicale che sembra insultare i bianchi in quanto gruppo o Sistema, e sempicemente  ignorare la loro possibilità di esistenza in quanto individui: Il Grande Maschio Bianco rappresenta agli occhi del rap il Grande Inquisitore che lo sottopone a un interrogatorio idiota, il Diverso, l’Alieno, tanto quanto i Rossi agli occhi di McCarthy. La paranoia di cui è pervasa questa musica, insieme al suo ermetico contesto razziale, aiuta forse a spiegare come mai a noi appare, dall’esterno, tanto vibrante e appassionata quanto estranea e spaventosa

Una lunga introduzione per dire che la musica rap/hip hop non è mai stata pacifica, anzi. Combatte una battaglia fatta di parole.

Il rap oggi è un genere ampiamente sdogananto anche in Italia, da anni ci sono in giro gruppi che suonano e producono musica rap di alta qualità e più o meno politicamente impegnata (cito quelli che ho ascoltato e ascolto ancora ed è molto probabile che dimentichi o non conosca qualcuno: Sangue Misto, Casino Royale, La Pina, Deemo, Lugi, Assalti Frontali, Colle der Fomento, 99 Posse, Cor Veleno, Kaos One e non posso fare a meno di notare che la percentuale maschile in questo elenco è dominante), dove alla componente razziale si è insediata quella di classe, fino ad arrivare alle e ai rapper e trapper più giovani che hanno sfondato nel mainstream. Finora la trap mi ha incuriosito come fenomeno, ma non mi ha convinto né per lo stile sonoro né per le tematiche – per lo più machismo, esaltazione della coca, stile da malavitosi – che trovo noiosissime. Ho apprezzato alcune canzoni di Madame, qualcosa di Ghali…

Fino a pochi giorni fa non conoscevo la P38, poi un amico li ha citati in una discussione, sono andato ad ascoltare i loro lavori. Poi a leggere la loro vicenda, che ho trovato ricostruita in questo articolo sul Guardian. E qualcosa è scoppiato. L’album “Nuove BR”, da quanto ho letto, fa e ha fatto inorridire molte e molti. A me invece ha incuriosito, a partire dalla copertina, che su uno sfondo bianco ha inciso slogan e frasi del tipo “La volontà di distruggere è volontà creatrice”, “occupare le case vuote”, “Stato e padroni fate attenzione”, “Nuove BR” e al centro c’è una Renault 4 col cofano aperto con l’ombra deformata in un esoscheletro da insetto enorme. Niente di patinato da vetrina del centro, ma ruvido come un muro scrostato. La Renault 4 richiama quella in cui fu ritrovato il corpo di Aldo Moro ma è trasfigurata. Anche questo è un segno da leggere, così come il nome dell’album che è e resta un prodotto artistico:“Nuove BR” è il titolo di un album di musica con un certo numero di tracce musicali. Come giustamente dicono i componenti della band, “avessimo voluto fondare un gruppo armato non staremmo qua a dirlo in diretta streaming”, o qualcosa del genere. Cercare una corrispondenza diretta fra parole dei testi e le cose del mondo è una pratica che può sfiorare il ridicolo. A partire dal nome della band “P38”: dietro c’è la vita di quattro persone, mica una pistola. Ad esempio: come gestire altrimenti i versi Mi mette un dito nel culo / è il covo delle BR contenuti nella canzone (per me una delle migliori) “Come me Come te”?

Confondere i piani, come hanno fatto i media, e cercare di far coincidere la lotta armata (mai abbastanza analizzata e di fatto fuori da un discorso storico condiviso a livello sociale) con una battaglia culturale è mancanza di profondità di lettura, di analisi, oppure di messa in pratica di un’altra delle frasi scritte sulla copertina: colpirne uno per educarne cento.

Cosa fa la P38 Gang?

Nella prima traccia di “Nuove Br”, Primo comunicato, una voce dice:

La lotta armata è appena tornata di moda, adesso sono cazzi vostri / grande è la confusione nella scena / La situazione è eccellente / Stiamo fumando il muro di Berlino, dalle strade brutte alla via rivoluzionaria per il comunismo / Gli ultimi hanno fame / Quando si abbatte una foresta volano le schegge, ma quando esce questo disco volano gli schiaffi / Stalinismo becero, femminismo violento, materialismo storico, xanax, oxycontin e piani quinquennali / Il capitale è una tigre di carta / La scena trap è una tigre di carta / L’industria musicale è una tigre di carta / Non siete rapper, siete degli imprenditori del cazzo / Noi abbiamo letto Gramsci, stronzi / Vogliamo tutto / Young Stalin, Astore, Jimmy Penthotal, Papà Dimitri / Questa è P38 / Nuove BR / Signore e Signori, abbiamo appena sequestrato il Presidente

Cosa hanno fatto già con la prima traccia? Sembra una sequenza di frasi a effetto ma ha una logica e una limpidità disarmante, quanto meno secondo la mia lettura: se il capitalismo è una tigre di carta e di conseguenza l’industria musicale e il genere trap sono altrettanto, allora le canzoni dell’album sono le armi con cui la P38 combatte una lotta armata contro tutte le altre canzoni della scena trap, per lo più individualmachiste e para mafiose. Non ci sono altre armi che i beat e le parole. La P38 riprende un immaginario di sinistra e lo porta all’estremo. Questo fa, niente altro. Chi hanno sequestrato quindi? Abbozzo un’interpretazione: il Presidente è la musica – i suoni – di quegli imprenditori che si fingono rapper. Per me l’album “Nuove BR” è un’operazione di critica militante, un’operazione artistica alla vecchia maniera del tipo: per stroncare un libro ne scrivo un’altro che lo prende di mira e allo stesso tempo avanza altre ipotesi. Stessa cosa per criticare un’opera pittorica o musicale, stesso procedimento, si crea altro. E non è un caso dire “preso di mira”. La P38 sa che sta lavorando con parole che creano un’immaginario, ne è consapevole più di tante e tanti altri che provano a mettere il disagio di vivere in versi. Astore, Dimitri, Young Stalin e Jimmy Penthotal “hanno letto Gramsci, stronzi”. E raccontare di cose brutte richiama un po’ quell’atteggiamento che reintroduce il “brutto” nell’arte per combattere il bello patinato e innocuo dell’estetica di Stato. Ad esempio possiamo ipotizzare che la presenza di un o una qualunque dei rapper mainstream in programmi televisivi come Sanremo, o uno dei tanti talent che affollano la televisione, sia una costruzione dall’alto di un’estetica pacificata. Il fatto di essere sul palco dell’Ariston, conciati a ribelli a modo, ha poco a che fare con una qualsivoglia lotta di emancipazione.

La P38 è a suo modo un ritorno al passato, al rap ‘old school’, almeno così mi sembra. Un ritorno, nei contenuti, al rap hardcore, ma usando, almeno per alcune tracce, le specificità dell sottogenere trap. Ma il punto che mi interessa è quello dei contenuti. Come scrive D. Wallace:

I Public Enemy, gli N.W.A., Ice T e Schoolly D riescono a sconcertare noi, i nostri amici, i critici che abbiamo letto e messo al muro, perché i testi dei rapper hardcore sono perfettamente consapevoli di parlare di/per le vite e gli atteggiamenti veri di persone riconoscibili come tali (anche se estranee). È qui che il rap si colloca a un livello superiore rispetto al puro spettacolo: nel rap hardcore l’ideologia nasce sempre da un episodio o da una condizione ben precisa, e la rabbia, dunque, da una causa, la minaccia da qualche forma di provocazione riconoscibile (almeno agli occhi di chi è interno alla Scena).

Rivelare e presentare sotto forma di canzoni il “brutto del mondo”, quindi, ed esprimerne il dolore. Non c’è solo questo, ovvio, però è anche qui che si gioca la dimensione politica dell’arte. Ora, ascolto e comprensione pare non vadano sempre d’accordo. O meglio: non sempre vengono usate come strumenti quando si tratta di musica che osa dire ciò che pudore vorrebbe non venisse detto. Nello specifico, il merito più grande per me delle canzoni della P38 è non solo quello di uscire dalle tematiche di solito affrontate dal rap, ma il coraggio di affrontare di petto nei loro testi questioni come: la misoginia (i tre minuti di questa canzone) ; il conformismo di alcuni esponenti del rap più mainstream (e il dissing è uno dei leit motiv del rap in cui un rapper parla male di altri rapper e della loro musica); la vita di merda che si vive in Italia da decenni, facendo lavori pagati pochi euro all’ora per pagare poi affitti sempre più alti; della lotta armata e delle brigate rosse – durante gli anni settanta del secolo scorso. Tutti argomenti che si vorrebbero taciuti o depotenziati quando invece il conflitto di classe è sempre più forte. Come disse E. Sanguineti: bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. La P38 ricambia volentieri e picchia pesante, per questo è ora indagata e i componenti della band rischiano di essere richiusi ai domiciliari prima ancora che inizi il processo. Torniamo al punto: perché i proletari non dovrebbero ricambiare? Per decenza? Perché “non si fa”? La P38 con gioia mette da parte tutta una serie di pudori e canta dell’odio di classe da una prospettiva rivoluzionaria, come in Bocconibrucia:

Miro bene

Anche se non ho mire

Non hai diritto di parole con sei cifre di ISEE

Voglio i soldi ma mi fanno schifo

Voglio i soldi ma mi fanno schifo

Sto bruciando la Bocconi

Sto bruciando la Bocconi…

 

Credo sia giusto lavorare affinché le cose cambino, viste le guerre che ci circondano, le persone che ancora muoiono in mare, il disastro ambientale in cui siamo immersi: la catastrofe del capitalismo, di cui scrisse anche Benjamin. E’ una presa di responsabilità. E il lavoro va fatto anche per curare e ricostruire un immaginario, così da poter creare qualcos’altro al di là del realismo capitalista. Cantare di Stelle rosse. E già all’epoca furono polemiche contro Sanguineti, figurarsi oggi che la P38 urla dai palchi dei loro concerti non solo che l’odio di classe è ancora vivo, ma che la guerra dei ricchi contro i poveri, fra sfruttatori e sfruttati, è ancora più feroce. Il loro lavoro artistico – ripeto – va nella direzione della costruzione di un immaginario dichiaratamente di sinistra in cui, in modo a volte un po’ cazzone ma lucido e serio, vengono accostati Gramsci e le BR, tematiche femministe e critica del capitalismo. E ancora: le canzoni mettono di buonumore. Per poter scrivere questo pezzo ho ascoltato l’album un po’ di volte e ho riso parecchio, oltre a ricevere stimoli per andare a rileggere qualche libro.

Una delle canzoni più riuscite è “Come me Come te” in cui cantano:

Non me la meno coi pianti

Dicendo che soffrono pure i ragazzi

Se parla una donna, poi parte la pippa

Che pure gli uomini sono sfruttati

Siamo sui tetti, fra’, siamo distratti

Sparo su Marco Crepaldi

Sono la bitch, faccio pompe ai soldati

Ma ho l’acido in bocca, hanno i cazzi squagliati

In questa canzone, per riprendere un’immagine fondante della vittoria contro il nazifascismo, il machismo viene appeso a testa in giù.

Che un’opera, un disco in questo caso, non piaccia o turbi è legittimo. Se un artista è consapevole di ciò che sta facendo lo mette in conto, almeno dovrebbe. Anche solo per poter dire “chi se ne importa se non ti piace”. Ancor di più se nelle prime battute della prima traccia dell’album dichiara che voleranno gli schiaffi. Così mette in conto che arriveranno delle reazioni, magari anche dure, come una denuncia, perché sa che sta trattando materiale pericoloso. Ma, pericoloso per chi? Da quanti anni ci sono canzoni che incessantemente lavorano per alimentare l’immaginario legato alla mafia e alle altre organizzazioni mafiose? Non solo in lingua italiana. Come tengono a far notare lo scarto e la differenza di trattamento, i quattro della P38, cantano:

In Italia se canti la Mafia

Manco una denuncia

Ci sono indagini in cui è emerso che anche il settore dell’industria musicale è usato per riciclare denaro sporco. Ci sono cantanti che sono a libro paga delle mafie, ma nessuno è, mi pare, stato indagato. Non che ce lo si auguri, giusto per fare il punto. L’album “Nuove BR” è uscito nel 2021 e dopo pochi mesi i quattro sono stati indagati e messi sotto processo per istigazione a delinquere.

Sempre ne Il Rap spiegato ai bianchi trovo scritto a pag. 59 che

il rap si presenta come sineddochico: la sua duplice identita di testa e di arto, nel suo parlare sia a sia per il suo pubblico, è una grossa componente dell’autorità che rivendica in ogni suo brano.

Una delle caratteristiche delle canzoni rap è quindi l’uso della sineddoche, di quella figura retorica che usa la parte per il tutto. La cosa interessante è che ci deve essere una comunità di riferimento a cui si canta, per cui si fa da specchio, ed il discorso è tutto rivolto verso l’interno della comunità. Almeno in una dimensione di musica seria, come la chiamano Wallace e Costello. Chi va a un concerto sa, in linea di massima, a cosa assisterà quindi manca del tutto la dimensione ingenua che si affibbia al pubblico generico di persone suscettibili e influenzabili. Le persone che, andando a un concerto di cui sanno poco, avranno una sorpresa o una delusione, beh, potranno andare via prima della fine dello spettacolo senza dover pagare pegno, succede così. Non c’è nessuno da convincere e nessuno da istigare. Nessuno che – per certi versi – non sappia già di cosa si stia parlando; dopodiché da parte di una o un artista c’è la speranza che le persone siano quantomeno disposte ad ascoltare per – magari – acquisire maggiore consapevolezza. Il problema vero dunque è la narrazione di chi è esterno alla comunità – in questo caso, ma da sempre –: giornalisti e giornali per lo più conservatori, se non proprio di destra. Persone che non solo non sanno cosa sia il rap/hip hop – né tantomeno la trap – e che superficialmente – nel migliore dei casi – raccontano per stereotipi. In questo caso sventolando lo spauracchio del “terrorismo” e accuse che hanno il solo pregio di essere dirette, come quelle mosse contro Elvis e la decadenza morale del rock’n’roll che Wallace e Costello definiscono “Neanderthaliane”. Per tacere delle accuse allucinanti di “satanismo” che furono lanciate come anatemi contro il metal negli anni ’80. Siamo in piena superstizione.

Piccola Rassegna stampa

Chi sono le vittime?

Di recente ho ascoltato una lezione di Donatella Di Cesare dal titolo Vittime, tema molto delicato presentato con precisione. Un passaggio che ho trovato molto interessante è relativo alle derive del ruolo della vittima individuate dalla filosofa nella “Tentazione di innocenza” e nel “Risentimento”. La vittima si presenta col proprio dramma e impone il proprio punto di vista. All’interno di uno spazio pubblico sempre più frammentato in cui viene meno “un comune ideale di Giustizia” si ha un abuso del ruolo della vittima. Di Cesare fa l’esempio di come in campo politico sia frequente avere a che fare con persone che si presentano immediatamente come vittime, perché è un ruolo che permette di rifarsi l’innocenza e che dà prestigio. La frase che mi ha colpito di più è quella che dice “la vittimizzazione prospera sul cadavere delle teorie rivoluzionarie e attraversa il corpo sociale come una metastasi”. Il venir meno di un orizzonte di cambiamento radicale, un’orizzonte rivoluzionario è dannoso per la società intera, perché si ha una frammentazione dei conflitti e “il diritto diventa una moda per la risoluzione dei conflitti” – da qui le innumerevoli cause che intasano i tribunali.

Nei giornali in rete ho letto anche che oltre alla denuncia da parte della figlia di Aldo Moro e dal figlio di Marco Biagi, la band è stata denunciata dal figlio di Giovanni D’Alfonso, poliziotto ucciso nello scontro a fuoco durante il tentativo da parte dei carabinieri di liberare l’imprenditore Vittorio Vallarino Gangia. In quelle circostanze fu uccisa Margherita Cagol, moglie di Renato Curcio. La cosa che non si può non notare è che il figlio di D’alfonso ha denunciato di recente – oltre alla P38 – anche Curcio con lo scopo di far riaprire il caso relativo alla morte di suo padre. Forse sarà anche occasione per far luce sulle dinamiche che portarono alla morte di Margherita Cagol? Cosa che Renato Curcio ha chiesto in modo esplicito.

Nel frattempo i quattro componenti della P38 Gang sono in attesa di sapere se  verranno messi ai domiciliari con il divieto di comunicare all’esterno ancor prima che inizi il processo a loro carico. Il tutto è assurdo e in perfetta sintonia coi tempi che stiamo vivendo, mentre attraversiamo questa landa desolata – in cui le persone continuano a morire in mare a causa di leggi disumane, in cui manca l’acqua anche in inverno, in cui le guerre – già orribili di per sé – si fanno a cazzo di cane e per ragioni squisitamente economiche – chiamate capitalismo. La tigre di carta del Primo comunicato. Tutto questo è ciò di cui dobbiamo immaginare la fine.

Per chiudere: penso che “Nuove BR” sia l’espressione artistica necessaria di chi si trova in una tradizione musicale e politica che ha – fra le altre – due direttive: quella della musica hardcore e quella della sinistra rivoluzionaria. Quindi, per coerenza, non può che produrre oggi un album che sia diretto e crudo. Grande è la confusione nella scena / La situazione è eccellente

 

P38 – Messaggio alle forze del male 

 

PS: Ho iniziato a scrivere questo post a fine febbraio, nel frattempo le cose sono andate avanti. Il 7.03 sono state respinte le richieste della procura di Torino di sottoporre la P38 Gang agli arresti domiciliari, in attesa del processo in cui sono accusati di apologia e istigazione al terrorismo.

 

 

 

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