Tagessuppe – il ginocchio del pasticcere

La scena che segue non è rientrata in Risto Reich, ma fa parte del malloppo di appunti che ho preso negli anni. Visto il clima di guerra che sta montando nel mondo ho avuto un ulteriore rigurgito antimilitarista e ho pensato fosse giusto tirare fuori questi appunti e pubblicarli. Fino ieri pensavo di integrarli nell’articolo che ho in bozza, in cui tratto alcuni casi di soprusi, violenze e aggressioni fisiche e sessuali che hanno occupato le pagine dei giornali austriaci nei mesi scorsi, ma sarebbe venuto fuori un pezzo davvero troppo lungo. Perciò eccoli qua, buona lettura:

Stavamo lavorando in cucina, lui impegnato a preparare la crema per una torta di compleanno per trenta persone, io a lavare teglie e piatti in un lavandino enorme. Lavoravamo e parlavamo del più e del meno, così si dice, del passato, di ciò che avevamo fatto nelle vite ‘precedenti’ al ritrovarsi lì – in una cucina a Vienna – lui con le mani in pasta io di turno a lavare piatti incrostati da pomodoro e resti della crema di Carbonara. E lui, mentre parlavamo di rimettersi in forma dopo mesi passati a mangiare pasta a pranzo e cena, lui mi fa “sai sono stato arruolato nelle forze speciali”, o qualcosa del genere, non ricordo in quale corpo, “e gareggiavo nella squadra di arti marziali”. Mi racconta delle gare, degli allenamenti e sì, mi dice lui, “possiamo trovarci in un parco quando vuoi e ci rimettiamo in forma”. Lui è anche cintura nera di non so più quanti dan di karate. Con una punta di orgoglio mi dice “devo stare molto attento a quello che faccio perché io sono come un’arma”. Ad ogni modo sono benvenuto, se voglio allenarmi con lui posso farlo ma dobbiamo essere regolari, mi fa, e metterci un po’ a dieta: al massimo sessanta grammi di pasta, verdura, niente dolci, niente alcol… Ok, faccio io, dai. E poi inizio a fare domande, perché mi interessa il fatto che sia stato in un corpo speciale, per scelta. A me – che da ragazzo feci obiezione di coscienza, che avevo iniziato a fare teatro leggendo di The Brick del Living Theatre e letto non solo Howl di Ginsberg ma anche la testimonianza al processo di Chicago, a me – antimilitarista – interessa capire qualcosa di più della vita militare e quindi la prendo larga e chiedo: e come mai hai smesso di gareggiare? Lui afferra l’enorme ciotola con le uova, il latte e la vaniglia e con un cucchiaio enorme inizia a mescolare gli ingredienti. Inizia a far girare e i muscoli delle braccia si tendono e lo sguardo è fisso al centro dell’impasto e inizia a raccontare:

“Io avrei voluto continuare”, mi fa, “mi piace ancora allenarmi, combattere. Avevo messo la firma e volevo continuare la carriera militare, ma più per fare le gare che per altro, poi una mattina è successo il fatto. Eravamo in cortile per il solito allenamento ma c’era un altro istruttore, non il nostro, comunque iniziamo con i piegamenti, gli addominali e poi passiamo alla corsa e questo che gridava fai questo fai quello, l’ho capito che mi aveva puntato, ma so come funziona e tengo la testa bassa e faccio gli allenamenti e questo che fischia e grida coglioni di qua coglioni di là. Iniziamo a correre nel cortile e lui sta al centro e a un certo punto si avvicina a noi e quando sto passando accanto a lui mi spinge alle spalle e mi fa cadere a terra, sul cemento, sai? Non mi sono fatto niente perché so cadere e, mentre sto rotolando a terra, penso questo mi vuole fare male davvero e a me non sta bene. Lo devo mettere a posto subito. Così, mentre lui mi urla di rimettermi a correre mi alzo, mi avvicino e gli do una ginocchiata fortissima nelle palle” – non dice fra le gambe, no, dice ‘nelle palle’ – “e il sergente cade a terra, come un sacco di patate, senza fiato. E poi inizia a urlare.”

Smette di far girare il cucchiaio, mi guarda. Nella ciotola vedo la crema alla vaniglia di cui sono ghiottissimo, ma se voglio allenarmi con lui mi sa che non posso chiedere il solito assaggio per il ‘controllo qualità’. Così, deglutendo a vuoto, chiedo: “ma non avresti dovuto controllare la rabbia e fermarti prima di colpirlo? Cioè non è questo che dovrebbe fare un esperto di arti marziali, o sbaglio?” E lui mi fa: “sì, ma lo dovevo fermare prima che mi facesse del male, e poi chi cazzo sei per colpire qualcuno e nasconderti dietro un grado? Se mi attacchi, io mi difendo, sono cazzi tuoi.”

Il collega venne preso in custodia, mentre il sergente fu portato di peso in infermeria. Il giorno dopo fu portato davanti al colonnello, nella stanza c’era anche il sergente, che non poteva neanche sedersi perché aveva “le palle gonfie come due arance”. Il colonnello, facendo la voce grossa, gli disse che era accusato di aggressione verso un superiore e che erano cazzi amari e lui – il collega con le mani in pasta, calmissimo, posato – disse di essersi solo difeso e chiese solo di sapere le ragioni del perché il sergente lo avesse spinto da dietro mentre stava correndo, facendolo finire sul cemento. Faceva parte dell’allenamento o lo doveva denunciare per aggressione e nonnismo? Al che il colonnello disse di non esagerare, o qualcosa del genere, e dopo un altro giorno chiuso in una stanza lo fecero tornare fra i commilitoni. Non rivide più il sergente ma la sua carriera nei corpi speciali finì così. Anche i concorsi fatti per polizia, carabinieri, guardia di finanza andarono male e lui riprese a lavorare in cucina. Aprì un primo ristorante, poi un secondo, poi si sposò, divorziò, chiuse tutto e ora è a Vienna.

Finisco di lavare i piatti, dopo pranzo arrivano pochi clienti per un caffè, la situazione si mantiene tranquilla. Il collega con le mani in pasta ha finito di comporre la torta per trenta persone, mi chiede un ristretto, mentre lo sorseggia mi dice che possiamo iniziare fra tre giorni, dovrebbe iniziare a fare un po’ meno freddo. Conosce un buon posto allo Stadtpark, pianeggiante e tranquillo. Posa la tazzina e mi fa, “allora hai capito come bisogna fare con gli imbecilli, anche nella ristorazione ce ne sono tanti: una ginocchiata nei coglioni subito e passa la paura.”

You may also like

Leave a comment