teatro

estratti da “Il retaggio di E. Vachtangov” #teatro #rivoluzioneteatrale

La mia porta d’ingresso al teatro è il teatro russo. Posso pensare al lavoro teatrale da fare oggi, in questi tempi oscuri, partendo da maestri russi. E se una rivoluzione oggi c’è da fare credo sia giusto rileggere i loro appunti, e trarne un insegnamento utile “per sovvertire il fallimento del presente”.

Discorso pronunciato il 29/11/1926, nel corso di una seduta dedicata alla memoria di E. Vachtangov , nella sala dell’omonimo teatro di Stato.

di V. Mejerchol’d

Ora che il teatro sta attraversando uno dei suoi peggiori periodi, l’assenza di un lavoratore come Evgheni Bagrationovic si fa particolarmente sentire. Vachtangov non si limitava a scrivere proclami, lettere o diari, ma era un uomo che sapeva lavorare sul serio.
In teatro Vachtangov era un vero e proprio operaio e ogni giorno la sua assenza si fa sentire. (…)
Il teatro non viene costruito soltanto da coloro che lavorano sulla scena, sia pure dimostrando grande talento: esso nasce dalla volontà del pubblico. Il teatro si divide in due parti: se in una di esse tutto procede bene, questo non significa ancora che tutto proceda bene nell’edificio intero. Il teatro comincia a esistere dal momento in cui esiste una rispondenza da parte del pubblico a quanto avviene sulla scena. (…) Il teatro si trova oggi in una situazione quanto mai difficile, forse la più difficile che abbia mai attraversato, e questo perché è stata trovata una ricetta di estrema semplicità per creare un teatro non rivoluzionario, ma quasi rivoluzionario. (…) Vachtangov, uomo dotato di grande intelligenza ed energia, aveva compreso che la rivoluzione non significa distruzione, che la rivoluzione consiste prima di tutto nel creare e infatti prima di ogni altra cosa la rivoluzione è creazione. (…)
La rivoluzione deve essere strettamente legata alla cultura. Di nuovo dobbiamo ricordare Lenin il quale sempre, per qualsiasi lavoro, parlava di cultura. Egli diceva che la rivoluzione e la cultura sono un tutto unico. Questa è la ragione per cui dobbiamo condannare le grandi tirate demagogiche di coloro che gridano: come sarebbe a dire, ritirarsi? Ma in realtà si tratta di gente estremamente miope e se credono che i maggiori valori della nostra cultura siano roba del passato, degna solo di un gesto di disprezzo, si sbagliano di grosso. (…)
Nel lavoro dell’attore è particolarmente importante che esista un ponte lanciato verso il futuro. Se non siete in grado di rendervi conto dell’evoluzione che sta compiendo in questo momento l’umanità, se non siete capaci di scorgere e di raggruppare a destra i capitalisti e a sinistra i lavoratori, se non vi sentite ispirare dalle strabilianti conquiste della scienza e della tecnica, già oggi in grado di farci capire che stiamo lavorando indefessamente alla creazione di valori nuovi, allora in generale non dovete recitare. Se nel recitare la parte che vi verrà assegnata non ricorderete tutto questo, se non verserete nei vostri successi la fiamma di tutti gli immensi successi che gli operai raggiungono nel mondo intero, sarà meglio che non recitiate.
Ricordo la mia visita al porto d’Amburgo. Là ho compreso sul serio che il mondo non appartiene ai padroni dell’oro e del capitale, ma a coloro che ogni giorno martellano delle pietre e permettano che vengano varate delle navi. Sentite allora che si tratta di un edificio gigantesco che nessun capitale potrà mai erigere e che essi invece costruiscono con la forza delle loro mani callose.
Quando nei giornali leggete del Volchovstroi, vi sembra impossibile ed è difficile che tutti vi rendiate conto come questa forza enorme sia frutto della mente geniale di Lenin e degli sforzi di masse sterminate le quali dicono: “il mondo appartiene a noi, perché noi lavoriamo”. Ecco perché qui oggi porgo il mio saluto alla rivoluzione proletaria e ai suoi indissolubili legami con la cultura.

Vsevolod Mejerchol’d, La rivoluzione teatrale, editori Riuniti, 2001, pagg 220-224

La Borto al Festival delle colline torinesi; appunti su uno spettacolo.

Turin, Cavallerizza reale – manica corta

22 Giugno ultima recita dello spettacolo La Borto di Scena Verticale al Festival delle colline torinesi; serata sold out con molte persone sedute sui gradini della sala. Molte donne. Il coraggio e la sapienza teatrale di Saverio La Ruina hanno fatto sì che riuscisse nella difficilissima operazione di riproporre, dopo il doppio premio ubu per dissonorata, uno spettacolo che ricalca una stessa struttura scenica: un monologo di una donna del sud interpretato da un attore con in scena un musicista. Monologo in dialetto calabrese (di Castrovillari per essere precisi, + o -) di musicale bellezza.

Ci sarebbe da dire molto sullo stile di recitazione di La Ruina, su come riesce a dar vita in scena a un femminile antico e dolcemente tragico (e riesca – ma forse esagero- a trascinare lo spettatore nel suo divenire-donna così da vivere della  stessa triste dolcezza che abita le nonne del Sud),  così come sull’equilibrio d’insieme degli elementi scenici: dalle musiche di Gianfranco De Franco che sostengo e amplificano ‘u cuntu con loop struggenti, al disegno luci preciso ed essenziale di Dario  De Luca.  (…)

Stessa struttura, dicevamo, e due spettacoli diversissimi, due personaggi diversi e ugualmente potenti recitati da un attore bravo come pochi oggi in Italia. Il rischio, altissimo, di ripetere qualcosa di già fatto viene superato grazie al fatto che la storia è di una potenza pari a quella di Dissonorata e la struttura drammaturgica riesce a dosare saggiamente i tempi e i modi in cui lo spettatore viene affascinato dalla storia, reso partecipe, fino al punto di provare dolore. Questo è quello che mi è successo. Sentirmi preso in una morsa teatrale d’antica sapienza ( un giusto equilibrio di pieni e vuoti della narrazione, delle posture del corpo, della musica) grazie alla quale è possibile – le rare volte che accade oggi a teatro – provare empatia con il personaggio (o con l’attore/il dramma/ gli affetti della musica etc etc etc) e sviluppare un pensiero critico (fondato su un affetto vero)  su ciò che è il senso dello spettacolo che si sta vedendo/ascoltando.

Peccato non ci fosse nessun prete. Peccato non ci fosse nessun anti-abortista e nessun leghista.

Qui di seguito il link alla scheda e alla rassegna stampa di La Borto

http://www.scenaverticale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=49%3Ala-borto&catid=1%3Aspettacoli&Itemid=70&lang=it

” (…)quando si crea si resiste.” gilles deleuze

Riflessioni a margine del caso DL:

In teatro è normale compiere ‘elaborazioni drammaturgiche’, è normale dichiarare cosa si sta elaborando e a chi si deve qualcosa. Esperienza mia: ho elaborato un testo che sento mio, è iniziato come un esercizio di composizione a seguito della lettura di Viaggio a termine della notte di L. F. Céline. Ho selezionato alcune frasi, alcuni periodi, li ho montati e ho ottenuto una mia ‘visione’ delle prime 100 pagine del Viaggio. Dopodichè ho individuato un tema (i bambini soldato) ho letto altri libri, ho elaborato,  scritto e riscritto per circa un anno.  Il testo l’ho intitolato F.M. K., lo sento mio ma devo moltissimo ad almeno dieci scrittori, escluso Céline.

Non so se questo lavoro faccia di me un autore/creatore, a dir la verità non mi preme molto. Quello che mi preme, in quanto teatrante, è farne uno spettacolo. So, alla fine, che mi è costato una bella fatica e il risultato è mio ma il materiale di partenza no.

Durante la lettura dei post su Giap in merito al caso di DL mi son tornati in mente alcune frasi di Deleuze che si trovano in ABCedario (ed. Derive Approdi):

Sport: Ci sono due tipi di grandi campioni, che per me non hanno lo stesso valore, quelli che creano e quelli che non creano. I non creatori sono quelli che portano uno stile esistente a una potenza ineguagliata, ad esempio Lendl non è in sostanza un creatore, per il tennis.  poi i grandi creatori (…) quelli che inventano nuovi colpi, che introducono nuove tattiche e su questo si precipita ogni genere di imitatore. Ma i grandi stilisti sono degli inventori anche sul piano dello sport…

Questo per dire che, penso, sia questa una delle cose che mi urta dell’attegiamento di DL il fatto che abbia tentato,  e tenti ancora, di passare per un creatore quando, fosse stato sincero con il pubblico, con i suoi sostenitori accaniti, con i lettori del blog, avrebbe dovuto dire: sono un “campione della satira”, ho i miei maestri e da loro ho appreso ciò che vi dico e dirò.