Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte terza
[La prima parte di ciò che segue (23.03) l’ho scritta giorni fa ed è stata pubblicata all’interno delle Necessarie evasioni sul blog di Alpinismo Molotov, avrei potuto pubblicarla prima anche quassù ma lo faccio ora che ho anche altro (29.03) e va bene accusì]
Strano trovarsi qui
Questo cortile
Occhi scuri intorno a me
Ho un po’ paura
Il peggio verrà da sè
Anche questa sera…
23.03
Passata la febbre ho iniziato a mettere il naso fuori di casa almeno tre volte al giorno, in compagnia dei cani soprattutto. Qua a Vienna non ci sono (ancora) le stesse restrizioni assurde, contro il mondo e contro la vita, che con gli ultimi decreti stanno limitando la libertà in Italia. Da poco più di una settimana sono chiusi bar e ristoranti e tutte le altre attività non indispensabili, ma si può stare fuori in compagnia al massimo in cinque persone, si può andare nei parchi e si può correre, senza che ci siano poliziotti e sceriffi pronti a fermarti. E la gente nei parchi a camminare e correre ci va come prima, che stare tutto il giorno in casa si può diventare matti.
Tutto bene, quindi? No, certo che no. In giro non ci sono più bambini, almeno nei luoghi pubblici del mio quartiere. Le aree giochi – tutte, anche i campetti di calcetto e di basket – sono state chiuse con il nastro bianco e rosso. Il traffico è parecchio diminuito, specialmente dopo pranzo la quantità di auto e camion in giro è molto molto minore. In centro non ci sono ancora andato ma lì credo che non ci sia nessuno, visto che turisti non ce ne sono più in giro. Ma è di sera che le cose diventano spettrali e il silenzio riempie lo spazio. Esco di casa per l’ultimo giro, prima di andare a dormire, intorno alle 23:00, non faccio sempre lo stesso giro cambio ogni sera così da non renderlo noioso e da poter dare un’occhiata in giro. Nelle ultime sere, qualunque direzione decida di prendere, per strada ci siamo solo noi. Mi guardo intorno e non c’è nessuno per centinaia di metri, niente. Nessuno sulla Mariahilferstrasse, nessuno sulla Sechshauserstrasse, le due strade su cui di solito c’è più movimento. Sento i miei passi che risuonano, nient’altro. Contrariamente al solito ci sono molte finestre con la luce accesa. Proseguo la passeggiata fino al parchetto che non ha l’area cani, non c’è nessuno e libero comunque Gea e Sirius così che possano correre un po’. Mi fermo a guardarmi intorno e ascolto il peso del silenzio, di una qualità che non ho mai sentito prima a Vienna ma solo in montagna. Continuo il giro senza rimettere i guinzagli, vedo che per centinaia di metri non rischio di incontrare nessuno. Passo sulla via che mi riporta verso casa, i negozi chiusi da giorni hanno tutti il cartello in cui spiegano il perché sia tutto chiuso e augurano a tutt* di restare in salute: Bleibt gesund! Anche lo studio di architettura, dove di solito vedo che c’è sempre qualcuno a lavorare fino a molto tardi, è vuoto e hanno portato via anche i computer, così che possano lavorare da casa, mi dico. Boh, chissà. Nella piccola pizzeria che fa solo asporto invece vedo che sono aperti e lavorano, un rider passa di corsa per fare una consegna. Una volta davanti al portone di casa tiro su lo sguardo e vedo che i vicini hanno affisso un cartello sul vetro di una finestra, la scritta dice Grenzenlose Solidarität: Solidarietà senza confini.
29.03
Così come di giorno sembra di vivere una domenica che si ripresenta sempre più simile a se stessa, anche le sere e relative passeggiate hanno la stesso peso fatto di silenzio. Ha dell’incredibile come ogni sera non incontri nessuno per strada, così come di giorno le persone tendano a cambiare marciapiede più volte per non dover incontrare nessuno. Eppure c’è qualcosa di buono in quello che stiamo vivendo. Nonostante tutto, nonostante l’incertezza, nonostante non si abbia più uno straccio di lavoro, nonostante si faccia fatica a immaginare l’avvenire. Manca l’ansia di dover raggiungere chissa cosa, chissa quale obiettivo, quel qualcosa da dover fare e che richiedeva il 100% dell’energia vitale per… per poter avere *cosa* in cambio? Una carriera, un cliente in più, una vendita, una casa, uno stipendio, un non so cosa. Da settimane s’è fermata la corsa, s’è fermato tutto o quasi e l’aria è più buona da respirare. Certo si stanno tenendo milioni di persone rinchiuse in casa, ci sono morti e assassini in giro (mi riferisco a chi ha creato la situazione che c’è in Italia: chi ha tagliato in questi decenni le spese per il SSN, chi sta tenendo le fabbriche aperte, chi ha la responsabilità dei morti nelle carceri, chi ha chiuso i parchi e rinchiuso le persone creando panico e paura, chi ancora in queste ore sta pompando i venditori a vendere vendere e vendere: “spostate quei morti che devo fatturare“) ma è tutto rallentato. La quotidianità è diversa, almeno qua a Vienna e forse davvero – come mi ha tristemente scritto un mio amico – qua sembra “il paradiso terrestre”. Non lo è, ma in confronto a ciò che sta succedendo in Italia, beh, sì che sembra il paradiso: si può uscire e andare in giro senza dover portarsi dietro una autocertificazione, non ci sono delatori, non c’è l’esercito per strada.
C’è più lentezza anche nei supermercati, non ho visto nessuno fare la spesa con ansia o fretta. Nessuno che sbuffa quando è in coda. Questo è poco, certo, ma tenendo presente anche questo poco possiamo tenere conto di cosa fare per non dover tornare per forza a “come eravamo prima”, anche perché quel “prima” esigeva il suo bel numero di morti quotidiano. Quel “prima” era una corsa verso il baratro. Se servirà mai a qualcosa questo tempo sospeso, questa tortura, queste limitazioni assurde, sarà per tenere fermo un punto: ciò che c’era “prima” è ciò che ci ha portato a subire questa situazione. Cerchiamo di tenerlo a mente, insieme ai nomi dei responsabili, insieme a tutto il resto.
Colonna sonora: Timoria – La cura giusta
[la quarta parte la trovate qui]