Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte seconda.

[forse avrei dovuto pubblicarlo un paio di giorni fa queste righe, vista la velocità con cui si sta evolvendo la situazione, soprattutto in Italia. Ma tant’è. La prima parte la trovate qui]

A me piace stare a casa, è il posto dove ho i miei libri, i dischi, ciò che è parte di me. Mi piace restare a casa, ma solo fino a quando non sento che i muri iniziano a curvarsi e lo spazio intorno a me retringersi. E questo succede ogni giorno, anche più volte al giorno. In quel momento mollo tutto ed esco, non esiste altro che il bisogno dell’aria aperta e che fuori ci siano -15 0 35 gradi è uguale, devo uscire, andare via.

Sono a casa e sto leggendo su Giap la prima parte de La viralità del decoro. Controllo e autocontrollo sociale ai tempi del Covid-19 di Wolf Bukowski, articolo interessante e pieno di spunti di riflessione almeno quanto le tre puntate del Diario virale di Wu Ming.

Sto leggendo e suona il telefono, è il padrone del locale. Mi chiama perché mi ha inviato dei documenti che dovrei restituirgli firmati. Chiedo a che punto è la procedura di chiusura e mi dice che l’attività è chiusa e che noi siamo già licenziati a partire da oggi 16.03. Chiedo se ha preso in considerazione il pacchetto di aiuti finanziari per lavoratori e imprese stanziato dal governo austriaco e mi dice sì… ehm… è una bufalata. Mi dice proprio “una bufalata”. In che senso, chiedo. Mi dice che il governo paga l’80% percento dello stipendio del dipendente e che il padrone paga il restante 20% più tutti i contributi, questo per tre mesi poi dal quarto mese il padrone non solo è obbligato ad assumere il dipendente ma a pagare l’intero stipendio, anche se non c’è lavoro, più tredicesima e quattordicesima… e no, mi dice, è troppo. Non posso andare a toccare i risparmi, quello che ho messo da parte. Quindi?, chiedo. Quindi conviene licenziare e magari fra un paio di settimane ci riassume tutti geringfügig* così tra disoccupazione e paga arriviamo a mettere insieme quasi uno stipendio normale. Stanno facendo tutti così, tutti gli altri padroni di ristoranti, bar e pizzerie, dice lui. Ho capito la logica, dico, così risparmiate su tasse e contributi, giusto? Mi dice che si farà sentire, perché ora si prende due settimane di ferie, ma non è che può restare chiuso a lungo eh, che noi avremo la disoccupazione, mentre lui niente. Si farà sentire, dice, perché magari trova il modo per aprire tra una decina di giorni e lavorare comunque facendo fare la fila alle persone fuori dal locale e usando i rider per le consegne a casa. Che i rider lavorano eh, mi dice. Spera di riprendere a lavorare presto, dice salutandomi. Quindi: lui si fa due settimane di ferie e ci licenzia per poi – spera – poter tornare a lavorare fra una “decina di giorni”, assumendoci per 10 ore a settimana. Però l’opzione del governo di continuare a tenerci a lavoro per tre mesi pagando il 20% dello stipendio no, non va bene. Perché chi gli assicura che poi non dovrà pagare tutto il dovuto ai dipendenti fra quattro mesi? Sento che devo uscire di casa. I padroni hanno licenziato tutt* in massa. In pochissimi giorni il numero di disoccupati in Austria è salito di diverse decine di migliaia. Il sito dell’AMS è spesso inaccessibile e riuscire a inviare la propria richiesta di disoccupazione può richiedere un’intera giornata di tentativi andati a vuoto.

Misuro la febbre ma so già che è scesa di un bel po’. Sto meglio, tutto sommato, ho ancora un po’ di brividi e mal di schiena ma voglio stare all’aria aperta. Ho 37,4, metto i guinzagli a Gea e Sirius e usciamo per strada. Sembra un giorno di festa, uno di quei giorni in cui le persone approfittano del tempo mite e di un paio di giorni di libertà dal lavoro per lasciare la città e andare – boh – un po’ dove gli pare. C’è silenzio, pochissime macchine, poche persone in giro e molte sono in compagnia dei loro cani, come me. Prendiamo la strada che porta al parco, in zona tutti i negozi sono chiusi, solo il supermercato è aperto. Siamo poco lontani da Schönbrunn, passa una volante della polizia, ci squadrano dietro le lenti scure degli occhiali. Il cielo è coperto e loro sono in tre in macchina con gli occhiali da sole. Forse hanno la congiuntivite, oppure li indossano per avere più carisma e sintomatico mistero, vai a sapere. Sirius finisce di fare la pipì, da la solita raspata al terreno e continuiamo la passeggiata. Le persone che stiamo per incrociare cambiano marciapiede, tutt* si mantengono a distanza di sicurezza. Al parco c’è la stessa atmosfera di giorno di festa, ma oltre a chi è lì coi cani e i soliti patiti della corsa mattutina posso contare un paio di genitori con relative carrozzine ma mancano le famiglie, mancano i gruppi di bambini. Tutte le aree gioco sono chiuse con il nastro bianco e rosso. Raggiungo l’area cani e libero Gea e Sirius che già scalpitano, li guardo correre, mi siedo – da solo – sull’unica panchina rimasta libera. A distanza di sicurezza.

Il giorno dopo (17.03) la febbre è quasi scomparsa, torniamo al parco, siamo in quattro: due bipedi e due quadrupedi. Una bella giornata ha portato molta più persone al parco rispetto a ieri, c’è più movimento, più colore e le notizie che ci arrivano dall’Italia sono – per un po’ – un’eco lontana. Una macchina della polizia fa il giro della strada interna del parco. Tira su un po’ di polvere e si allontana. Ci godiamo il sole seduti su una panchina in un parco e penso al fatto che in Italia, ciò che stiamo facendo in questo momento in tanti a Vienna, sta iniziando a essere additato come “socialmente pericoloso”. Fino a che punto alzeranno l’asticella dell’idiozia? Mia moglie controlla il sito che tiene aggiornato il numero ufficiale degli infetti in Austria. Siamo al settimo posto in Europa, mi dice. Guardiamo i cani giocare intorno a noi, restiamo seduti ancora un po’ a goderci il sole e la possibilità di stare lì senza avere intorno sceriffi, guardie e delatori. Non oggi almeno.

in quest’epoca di pazzi
ci mancavano gli idioti dell’orrore.

Colonnna sonora: Bandiera bianca – Franco Battiato

[La terza parte la trovate qui]

* letteralmente vuol dire da poco, insignificante. In ambito lavorativo vuol dire essere assunto con contratto da 10 ore a settimana e non si ha diritto all’assicurazione sanitaria.

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