Appunti su Furore

Riprendo la pubblicazione di parti di Risto Reich che non sono rientrate nel volume che verrà pubblicato a fine febbraio (la data è cambiata per ragioni editoriali) da Alegre nella collana Working Class. Negli ultimi giorni mi sono chiesto se fosse il caso di pubblicare questa parte in particolare, visto che Furore non ha bisogno di una “recensione”. Poi ho deciso per il sì perché i “bastardi ingordi” contro cui Steinbeck scagliò il suo libro sono ancora lì a decidere della vita di milioni di persone; perché a distanza di neanche un secolo altri “bastardi ingordi” hanno stretto un legame ancora più stretto con altri bastardi che siedono dietro scrivanie di mogano al governo di diverse nazioni nel mondo; perché – alla fine – è il mio modo per ripagare un debito nei confronti di un libro che mi ha aiutato nella stesura di Risto Reich. Canetti scrisse “se fossi davvero uno scrittore dovrei essere capace di impedire la guerra”, questo per ribadire l’importanza delle parole per raccontare altre storie che liberino le persone, almeno un poco, e per confrontarmi a modo mio con questi cialtroni che ancora saltellano su palchetti tenendo il braccino teso. Attraverso le storie possiamo, questa è la mia convinzione, uscire dalla gabbia delle reazioni immediate “da social”. Mettere in moto i neuroni in modo diverso e così elaborare pensieri ed emozioni.

 “Bastardi ingordi” e “pezzi di merda mai morti”, come canta Giorgio Canali, ci stanno raccontando la loro storia di vincenti. Minimizzano o negano il riscaldamento globale, armano eserciti, fomentano guerre. Tramano e giocano per salvare i loro scagnozzi, come di recente è tristemente successo col “torturatore libico” tornato a casa su un volo di stato. Io sono convinto che, per quanto pericolosi, siano solo dei buffoni.

Ultima cosa: è ancora possibile sottoscrive l’abbonamento 10×110 di Alegre, i dettagli li trovate a questo link. Se siete interessati, potete già prenotare Risto Reich presso la vostra libreria di fiducia, ancora meglio se indipendente. Fate circolare le storie, soprattutto quelle resistenti.

Con Furore, gli appunti ritrovati

Ci sono libri che si lasciano andare via, altri con storie importanti restano sullo scaffale, in attesa del momento giusto per essere letti.

Furore narra della grande emigrazione dei contadini dagli stati centrali degli Stati Uniti verso la California – terra ricca di frutta e lavoro – lungo la statale 66, durante gli anni della grande depressione. È la storia di una massa di persone che, spinte dalla disperazione per aver perso la terra e la casa, presero con sé le poche cose che restavano loro e partirono alla volta della costa occidentale, nella speranza di trovare un lavoro e ricostruire ciò che avevano perso. Giorno dopo giorno, davanti alla realtà delle condizioni di lavoro nelle piantagioni californiane – fatta di sfruttamento e violenze – la speranza virò in disperazione prima, in rabbia poi.

Furore è un libro in cui un io diventa noi. Un classico che racconta di cambiamenti climatici: tempeste di sabbia che inaridiscono l’Arkansas in apertura di racconto e piogge torrenziali che inondano la California in chiusura. Questi gli eventi motore della narrazione. Emigrazione, sradicamento, fame, ricerca disperata di lavoro, sfruttamento, sopraffazione, solidarietà e lotta contro l’impensato. Paura che diventa coraggio per costruirsi e vivere una vita degna. Questi i temi affrontati.

E se ci si guarda intorno, si vede che cose del genere accadono ancora, ogni giorno, a ogni latitudine. Ancora oggi sono epidemie, guerre e disastri ambientali a far muovere le persone per migliaia di chilometri. Fanno attraversare confini presidiati da soldati e giornalisti pronti a mettere lo sgambetto a chi sta cercando un avvenire diverso, magari migliore.

Durante il viaggio verso occidente, i Joad vengono avvertiti, da chi ne stava fuggendo, che la California somiglia più a un inferno che a un paradiso, ma insieme decidono di procedere per la loro strada. Perché non c’è molto altro da fare, se alle spalle hai il deserto. Oggi l’Europa viene vista come un paradiso, in tante e tanti puntano a raggiungere e superarne i confini, ma arrivare qua da noi può essere un inferno.

Le cosiddette crisi degli ultimi anni, così come quelle che verranno, sono tutt’altro che maledizioni. Sono frutto di scelte compiute da un pugno di persone mosse da interessi economici. Sono loro i responsabili delle conseguenze, pagate da milioni di persone, e riferendosi a loro Steinbeck scriveva: «Voglio marchiare con infamia questi bastardi ingordi che ne sono la causa».

Crisi come quella del 1929, fatte di tempeste di vento, di sole che brucia i terreni e distrugge i raccolti delle famiglie dei mezzadri protagonisti del libro di Steinbeck, non hanno nulla di “naturale”, ancor meno di “biblico”. Cavalcano disastri ambientali, conflitti fra nazioni, e alimentano la guerra dei ricchi contro i poveri. Sono solo conseguenze del capitalismo, che da una parte crea le situazioni per aumentare i margini di profitto, dall’altra gestisce le vite delle persone, costringendole a spostarsi e creando stati di emergenza perenni.

Leggere i classici serve, per poter attingere a una fonte di saggezza non mediata, per poter trovare armi con cui affrontare il quotidiano. Almeno, per me funziona così. In Furore l’arma è quella di una solidarietà combattiva, creata dal basso per il bene di tutte e tutti. Chi legge Furore può prendere esempio da Tom Joad, riflettere e fare tesoro della propria esperienza e scegliere di ritrovarsi negli urli di chi si ribella, negli sguardi di chi s’è preso una manganellata da un poliziotto, negli occhi di chi si ritrova dietro le inferriate di un centro di accoglienza e sentire il furore che inizia a crescere, «ché i semi del furore stanno diventando acini», e poi lavorare affinché ogni giorno di più gli acini diventino grappoli, «grappoli pronti per la vendemmia». Anche se di questi tempi sembra che sì, il vento fischi ancora, ma sembra fischi Maracaibo e che i modi del progredire sociale siano quelli di un determinismo inevitabile, piuttosto che quelli del conflitto. E anche se il Noi pare abbia meno forza e la repressione e la seduzione del potere siano sempre più potenti, c’è da continuare a opporsi al dilagare del veleno. Lottare per un orizzonte più ampio, che abbracci anche gli animali, la natura. Che l’orizzonte resti la rivoluzione.

 

Giorgio Canali – Un filo di fumo

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