Su un lupo in particolare
Nel capitolo V della Parte quarta del Tomo secondo dell’edizione Mondadori di Guerra e Pace, il conte Tolstoj ci racconta della battuta di caccia al lupo voluta da uno dei protagonisti del romanzo, il giovane conte Rostòv. Ai margini di una raduna, Nikolàj Rostòv segue i rumori della caccia e prega Dio che il lupo sbuchi davanti a lui così da poterlo catturare e godere di un po‘ di gloria. Tolstoj ci descrive l’attesa, l’atteggiamento di Rostòv e dei suoi cani e della totale mancanza di connessione con ciò che sta accadendo, nonostante siano lì per cacciare il lupo: quando „l’animale“ si presenta davanti al cacciatore e ai cani nessuno di loro è pronto all’incontro e il lupo – dopo aver guardato cani e cacciatore – riesce a passare oltre elegantemente senza problemi. Viene poi inseguito, braccato da cacciatori e cani a cui il lupo sfugge più volte, fin quando, sfinito, viene circondato e intrappolato. Soprattutto per merito di un cacciatore professionista, Danìla, che a un certo punto si lancia addirittura nel groviglio di zampe, fauci, pellicce e latrati e ingaggia un corpo a corpo col lupo. L‘animale umano, forte del suo essere in maggioranza, ha ragione del lupo: una macchina da guerra collettiva fatta di una concatenazione di umani/cavalli/cani e armi vince su un solo lupo. Uno solo.
L’ultima immagine della caccia che Tolstoj ci descrive è quella de „l’animale“ con un bastone nelle fauci, legato per le zampe e appeso alla groppa di un cavallo, mentre „guardava con occhi vitrei tutta quella folla di cani e persone che lo circondavano“. Il lupo nella storia è un lupo adulto, che con la famiglia si era rifugiato all’interno della proprietà dei Rostòv, catturato per sport. Perché è così che andava e ancora va la storia. Forse Tolstoj dovette assistere o partecipare a una caccia al lupo, ma – ovvio – non ne sono certo. La cosa che so però è che neanche le scene di battaglia descritte fino a questo punto del romanzo, ad esempio quella epica di Austerlitz, sono descritte e trattate con la stessa trattenuta passione e, in mezzo ai tanti personaggi descritti e resi credibili dalla maestria di Tolstoj, uno dei più vivi è di certo il vecchio ed enorme lupo del capitolo V della Parte quarta del Tomo secondo di Guerra e pace.
A distanza di un secolo, il lupo è tornato nelle nostre foreste, e non solo nelle nostre, e ad occupare uno spazio nell’immaginario collettivo – ammesso che fosse mai andato via anche da quello – e a riempire le pagine dei giornali. Spesso a sproposito: un fiorire di gazzettieri che snocciolano risultati di indagini e censimenti, per appellarsi al „buon senso“ per aver ragione di lupi e orsi. Dalla lettura del passo di Guerra e pace possiamo trarre una riflessione: che l’incontro con „l’animale“- uno fra i tantissimi che vengono raggruppati nella parola „animale“ e mi riferisco soprattutto all’incontro in „natura“, o anche solo all’ipotesi dell‘incontro – può essere il momento in cui possiamo interrogarci sull’animale che noi siamo. Il filosofo Jacques Derrida scrisse un saggio sul suo incontro – all’uscita dal vano doccia – col suo gatto che era lì a osservarlo. Cosa succede quando è „l’animale“ a guardarci?
I classici sono tali per ragioni fondate, dalla loro lettura si può trarre una riflessione, coi giornali spesso – purtroppo – ci si può solo foderare i fondi delle gabbie per uccelli.
Il capitolo V si chiude con gli umani che circondano il lupo appeso, capaci solo di rimpallarsi frasi banali – „Oh, è enorme“, „È enorme, no?“, „Sì, è enorme“ – mentre il lupo li guarda „con un’espressione al tempo stesso semplice e selvaggia“. Il lupo – „l’animale“ – ci guarda e non siamo un bello spettacolo.