Una riflessione sulla chiusura di Quinto Tipo e sui dieci anni di Diario di zona
Due lustri però mi suona meglio. Un bel periodo di tempo, due lustri, in cui spazio se n’è percorso. Da Torino a Vienna, poco più di mille chilometri, una vita fa. Due città, due libri (ci arrivo), due lustri. Un pezzo di vita e due storie che hanno a che fare con questo spazio-tempo andato.
Il Diario di zona fu coraggiosamente pubblicato il 18 novembre 2014 da Alegre come primo volume della collana Quinto Tipo. Quale fosse l’intento della collana lo spiegò a suo tempo, in più modi e occasioni, Wu Ming 1. Da ieri si può leggere su Giap il bilancio insieme, ad un requiem e a un’autocritica su quella esperienza editoriale. Lo scrivo subito: nei confronti di Wu Ming 1 ho un debito di gratitudine, per aver dato a Diario di zona la possibilità d’esser pubblicato e letto, a me quella di esordire in una collana d’avanguardia. Ed è tantissimo, per una persona che muoveva i primi sgangherati passi nel meraviglioso mondo dell’editoria.
Sulla collana, i miei due centesimi: fermo restando che, sì, forse un po’ di attrito nei confronti di Wu Ming e delle variegate attività della band esista, credo che l’esperimento editoriale Quinto Tipo non sia stato capito fino in fondo. Forse era ed è troppo “avanti”, a molti (l’uso del maschile è voluto) manca(va)no gli strumenti per analizzare i mutamenti, le fughe in avanti di quel “non identificato”. Prima di essere avvisato da Wu Ming 1 della nascita di Quinto Tipo e dell’intenzione di pubblicare Diario di zona, avevo inviato il manoscritto a un paio di case editrici. Da entrambe mi arrivarono dei gentili “no, grazie” ma la cosa curiosa è che uno dei due referenti mi scrisse che trovava il manoscritto non maturo abbastanza e ancor di più che non potesse rientrare nella categoria UNO teorizzata da Wu Ming. Che Diario di zona avesse dei limiti o che non potesse piacere lo consideravo parte del gioco, così ringraziai per le critiche. Ma che non rientrasse negli UNO invece lo trovai una cazzata.
Torno alla collana: è possibile che nel mondo editoriale non si fosse pronti per Quinto Tipo? È possibile anche che il mancato sviluppo della collana in collettivo sia da imputare a una mancanza di consapevolezza su quanto si stesse facendo?
Non tutti devono avere il coraggio di alcuni hobbit, certo, ma pare che i discepoli di Saruman abbondino.
Avendo già nel 2014 un quindicennio di lavoro professionale a teatro sulle spalle e dovendo in qualche modo accettare e reagire a ciò che stava accadendo in città (la fine del modello industriale e l’improvviso orlo di un baratro di diversi miliardi di euro lasciato dalle olimpiadi del 2006, l’aumento della disoccupazione, la chiusura di ospedali) e a me stesso – con i pochi spazi teatrali ancora a disposizione in città chiusi all’improvviso – mi dovetti inventare qualcosa e mi ritrovai a fare l’operaio letturista. Ma il passaggio fu traumatico e dovetti elaborarlo in qualche modo. E riuscii a farlo scrivendo in quel modo perché anni di teatro sperimentale, post-drammaturgia e scrittura scenica mi portarono a relazionarmi alla pagina, alla raccolta e giustapposizione di materiali in un modo ad essi conseguente. Alla fine scrissi una storia messa insieme „con ogni mezzo necessario“. Perché la situazione era e resta complessa, bisogna tenerne conto. Wu Ming 1 mi incoraggiò da subito, fin dall’uscita delle prime pagine del Diario sul blog di Satyrikon, a scrivere e andare avanti. E questo riconoscimento fu un dono prezioso.
Nonostante si racconti che l’autore non può leggere veramente ciò che ha scritto (come se fosse poi quello il punto, o la cosa interessante per un’autrice o un autore) a distanza di questi due lustri so che ci sono alcune parti del libro che riscriverei, altre che sfoltirei, altre ancora a cui darei più respiro, più coraggio – forse – ma molto lo trovo ancora preciso, giusto, con dentro la rabbia necessaria, lo slancio, la freschezza del momento – pagine scritte letteralmente per strada – e la potenza dell’incontro con quella persona o storia. Perché Diario di zona è fatto di incontri, soprattutto tra un corpo di carne ed ossa e il corpo della città di Torino. Città che vorrei tornare a indagare e vivere – magari per qualche giorno – in sella alla mia bicicletta, ripercorrendone le strade, i quartieri, le zone. Col mio quaderno in tasca tornare in Vanchiglia, Barriera, San Paolo, Vallette, Mirafiori, Cit Turìn, la Collina e seguire il Po – per quanto possibile leggere fra le pieghe dell’acqua rimasta cosa è successo in questi anni – e arrivare a Superga. Di tanto in tanto suonare a un paio di citofoni e vedere cosa succede, che storia ne viene fuori. Poi, sì, ripasserei anche per le strade del centro, che percorrevo con Gea e Sirius cuccioli, ma questa è forse un’altra storia.
Ad ogni modo, per quanto mi riguarda, Diario di zona è un libro che da qualcuno andava scritto, per segnare quel momento particolare della storia della città. È toccato a me, ma un po’ me la sono andato a cercare, quantomeno merito il concorso di colpa.
Dopo due lustri ho pronto un altro romanzo, questa volta ambientato a Vienna. Città che ha lingue, ritmi, suoni, strade e luoghi che si aprono su altre dimensioni. Vienna ha una magia diversa da Torino, non per questo meno affascinante, anzi. A loro modo, Diario di zona e Risto-Reich sono due canzoni d’amore. Il primo lo si può ancora leggere ordinandolo a questo link; la collana chiude ma i libri sono ancora disponibili per chi vorrà togliersi la curiosità. Per Risto-Reich, come avrebbero detto le mie nonne, non ci vorrà quanto c’è voluto.
Ps: i quaderni in foto, che usai per prendere appunti per strada, furono amorevolmente fatti a mano da Roberta Cortese