Il mare lontano.

Poco meno di un mese fa ho ricevuto un’email da Lou Palanca 3, era indirizzata a un gruppo di narratrici, narratori, intellettuali, artiste e artisti calabresi. Ci invitava a sostenere pubblicamente i gestori dell’agriturismo ‘A Lanterna di Monasterace (RC) che hanno subito sette attentati in sette anni, l’ultimo poco tempo fa.
Di seguito trovate il racconto che ho scritto e che dedico a chi resiste in Calabria, con ogni mezzo necessario.
Buona lettura.

Il mare lontano.

Siamo in una valle assolata. Esposta a Sud. Lo Jonio brilla in lontananza nei giorni in cui non c’è foschia. Come oggi, brilla così forte che fa male guardarlo. A volte la bellezza è dolorosa. La terra è grassa, fertile. La valle è ancora bella, nonostante la diga in costruzione. Da più di vent’anni scavano, poi si fermano, scavano, poi si fermano, scavano… Qui il tempo scorre lento, i soldi invece fuggono via come acqua da un tubo forato. La fonte ora è quasi in secca, i lavori di scavo hanno spostato la sorgente, i vecchi dicono così scuotendo la testa. Raccontano che abbastava scavare pochi metri per trovare la sorgente. Raccontano di un’acqua fredda, limpida. Ora l’acqua in tanti appezzamenti arriva con i tubi. Le mucche e le ruspe calpestano i tubi, così l’acqua non arriva sempre. Le ruspe hanno conquistato la valle, insieme a loro sono arrivate le mucche. Hanno gli stessi guardiani. Da vent’anni, terreni espropriati, lavori rimandati, soldi su soldi montagne di soldi nei conti correnti scomparsi. Costi dei lavori che lievitano come pane. Tutti hanno venduto e tutti continuano a coltivare la terra che era loro. Quella su cui le ruspe non sono ancora arrivate. Qui va così. Cci cuegliu pummadueri randi cuemu meluni. C’è anche chi non ha dovuto vendere, c’è chi ha ancora la sua terra, ci sono le pietre a segnare il territorio e c’è l’acqua cuemu nà vota. Insomma… di meno, ma c’è. Ci sono terreni che non rientravano nei progetti. Terra che diventerà riva di un lago che mai verrà. Ci sono anche dei paletti bassi e una doppia linea di fil di ferro. E chissu ‘un va bbuenu. Pecchì ‘e vache hau dè caminare e i recinti cacanu ‘u cazzu. ‘Cca nessunu è cchiù patrune veramente, cca ormai ci su ruspe e vacche. Ruspe e vacche, hannu ‘ì stessi patruni. E ‘sì vuenu patruni puru ‘da terra. ‘Sì vuenu patreterni. E ci cridenu.

Ingegnè, vù dicimu nui duve ‘a facimu ‘sta diga. Ingegnè, è miegliu ‘sì mi staviti a sentere. Ci guadagnamu tutti.

A bordo dell’ape car 250 sono in tre. Due adulti e una bambina. La bimba ha il nome, gli occhi e i capelli della nonna. Sorridono. Il sole picchia forte e dalla curva grande, prima di prendere il sentiero che porta giù in valle, si può vedere il mare laggiù. Si vede bene oggi e fa male per quanto brilla. Il mare laggiù, lo Jonio. Dice la nonna: è lo Jonio… quant’è bello il mare? La bimba guarda e strizza gli occhi, sorride e distoglie lo sguardo. Lampi di luce colorano l’iride. Sorride anche il nonno, sotto uno sguardo stanco. Sorride e guida. Dal parabrezza dell’ape car il nonno guarda la terra, la sua terra, avvicinarsi. Vede il verde, il rosso, vede lo scuro di una terra grassa. Guarda e qualcosa non lo convince. Quello che vede non va. Vede i paletti divelti e il fil di ferro attorcigliato. Vede il verde dei filari dei fagiolini gettati a terra, vede il mare rosso dei pomodori calpestati, il giallo delle zucche aperte. Massacrate. Vede tutto questo e il resto è intuito e ricordo ‘mbiscati. Ferma l’ape, apre la portina e corre verso la prima terrazza di una serie che degrada dolce verso il fiume. Corre e si mette le mani nei capelli, il cappello cade in un solco fra le impronte delle mucche. Lo lascia lì.
La donna tiene la bimba per mano, le lacrime velano gli occhi scuri.
– Nonna che c’è?
– Nente figlia mia, nente.
– Piangi?
– No, bella mia.
– Chi ha rotto tutto?
– …
– Persone cattive?
– Sì.
– Perché?
– Pecchì unn’apprezzanu nente. Pecchì sù vigliacchi.
– Li conosci?
Muovono pochi passi verso il bordo della prima terrazza. La nonna tiene la bimba per mano, una stretta salda e morbida allo stesso tempo. La bimba sente il calore e la pelle ruvida della nonna sui bordi delle dita. Il nonno tira su le piante di pomodori, guarda gli ortaggi calpestati. Le poche piante di vite ancora in piedi hanno tagli sulla base. Un succo trasparente cola giù lungo i tronchi. Piange la vite, piange l’uomo, piange la donna.
– Li conosco tutti, bella mia… Tutti… ‘Cca ‘sa cumandanu… Sì penzanu patreterni… Verranno, sicuru… S’avvicinerannu a chiedere cchi cci fu… Se c’è bisogno d’aiutu… saranno tra i primi… Guardali, e lì canuscerai puru tu… ‘Un ci vorrà quantu ‘cc’è bolutu…
– Non li voglio vedere… ho paura.
– No bella mia, ‘un c’è d’avire paura… Tu teneme ‘a manu e stai ferma. Forte.
– E tu?
– Io? Io ‘i guardu intr’all’uecchi. Addiritti… fissi, accussì… cuemu guardu ‘ù mare luntanu. Guarda figlia mia. Guarda.

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