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foto quaderni Diario di zona

Una riflessione sulla chiusura di Quinto Tipo e sui dieci anni di Diario di zona

Due lustri però mi suona meglio. Un bel periodo di tempo, due lustri, in cui spazio se n’è percorso. Da Torino a Vienna, poco più di mille chilometri, una vita fa. Due città, due libri (ci arrivo), due lustri. Un pezzo di vita e due storie che hanno a che fare con questo spazio-tempo andato.

Il Diario di zona fu coraggiosamente pubblicato il 18 novembre 2014 da Alegre come primo volume della collana Quinto Tipo. Quale fosse l’intento della collana lo spiegò a suo tempo, in più modi e occasioni, Wu Ming 1. Da ieri si può leggere su Giap il bilancio insieme, ad un requiem e a un’autocritica su quella esperienza editoriale. Lo scrivo subito: nei confronti di Wu Ming 1 ho un debito di gratitudine, per aver dato a Diario di zona la possibilità d’esser pubblicato e letto, a me quella di esordire in una collana d’avanguardia. Ed è tantissimo, per una persona che muoveva i primi sgangherati passi nel meraviglioso mondo dell’editoria.

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Su un lupo in particolare

Nel capitolo V della Parte quarta del Tomo secondo dell’edizione Mondadori di Guerra e Pace, il conte Tolstoj ci racconta della battuta di caccia al lupo voluta da uno dei protagonisti del romanzo, il giovane conte Rostòv. Ai margini di una raduna, Nikolàj Rostòv segue i rumori della caccia e prega Dio che il lupo sbuchi davanti a lui così da poterlo catturare e godere di un po‘ di gloria. Tolstoj ci descrive l’attesa, l’atteggiamento di Rostòv e dei suoi cani e della totale mancanza di connessione con ciò che sta accadendo, nonostante siano lì per cacciare il lupo: quando „l’animale“ si presenta davanti al cacciatore e ai cani nessuno di loro è pronto all’incontro e il lupo – dopo aver guardato cani e cacciatore – riesce a passare oltre elegantemente senza problemi. Viene poi inseguito, braccato da cacciatori e cani a cui il lupo sfugge più volte, fin quando, sfinito, viene circondato e intrappolato. Soprattutto per merito di un cacciatore professionista, Danìla, che a un certo punto si lancia addirittura nel groviglio di zampe, fauci, pellicce e latrati e ingaggia un corpo a corpo col lupo. L‘animale umano, forte del suo essere in maggioranza, ha ragione del lupo: una macchina da guerra collettiva fatta di una concatenazione di umani/cavalli/cani e armi vince su un solo lupo. Uno solo.

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È giunto il momento, il piatto va portato in tavola

È arrivato per me il tempo di rompere il riserbo, di far entrare la cosa nel vivo: a fine gennaio 2025 uscirà per la casa editrice Alegre – nella collana Working Class diretta da Alberto Prunetti – il mio secondo romanzo: Risto-Reich. In verità la cosa fu anticipata qualche mese fa da Wu Ming 1, in nota all’articolo su Giap in cui annunciava l’uscita dell’ultimo titolo della collana Quinto Tipo.

Risto-Reich è ambientato a Vienna, città in cui vivo con la mia famiglia da un po‘ di anni, in cui ho iniziato a lavorare come cameriere/barista. Per scrivere il romanzo ho attinto alla mia esperienza, ma non solo. Molto devo ai racconti di colleghe e colleghi con cui ho lavorato a stretto contatto per montagne di ore ogni mese tra il 2016 e il 2020, così come molto devo alla lettura di romanzi, saggi, articoli e opere di non fiction che hanno fatto lavorare la mia fantasia e creare connessioni. Più in là pubblicherò una bibliografia ragionata.

Risto-Reich è – come già il Diario di zona – un oggetto narrativo non identificato, ma la dimensione romanzesca è più marcata, il lato autobiografico ridotto. Mi piace pensarlo come un romanzo a più voci, in cui l’io del narratore diventi il punto da cui chi leggerà il libro potrà vedere e forse capire un po‘ di più della propria esperienza di cliente di un qualsiasi ristorante/pizzeria. Farsi un’idea di cosa vibri e viva oltre il bancone di un bar, dietro le porte di una cucina -quando mancano le telecamere di una TV; dietro il non detto di un o una lavoratrice davanti alla spocchia del solito callone di turno che si siede in sala; dietro le porte di un ufficio durante un colloquio di lavoro o al momento della firma del contratto – quando questo c’è –, mentre forze oscure premono tanto da curvare le pareti.

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Libri per un’estate grigia…

… di un anno non meno grigio, nonché infuocato. Mentre continua la gara di rutti da parte di alcuni politici intorno a ciò che è accaduto pochi giorni fa in Francia, grazie ad una atleta algerina; mentre assessori cresciuti mangiando a piene mani la cioccolata fumante dai calderoni delle ville di Salò invocano la “soluzione Mengele”, sempre in relazione all’algerina che mena l’italiana facendo scorrere patrie lacrime; mentre – dunque – la mediocrità impera, a differenza degli scorsi anni e con l’augurio che sia solo a causa dell’ennesimo stato di eccezione, mi permetto di dare un paio di consigli di lettura per l’agosto appena iniziato. Mese in cui – è agosto, benedizione! – se ci sarà qualche nefandezza da approvare d’urgenza in parlamento lo si farà e il peggio sarà fatto. Nel giorno in cui ricorre l’attentato fascista alla stazione di Bologna e gli eredi di tutta quella bella gente vestita da buffoni mandano in giro la foto della strage con firma autenticata in calce a suddetta foto, come fosse una rivendicazione, del tutto non richiesta, ma necessaria, scrivo una piccola lista di libri – alcuni freschi di stampa altri meno – da recuperare e leggere „sotto l’ombrellone“, fra un tuffo e un gelato, per ricaricarsi e sgombrare i neuroni da un po‘ di minchiate:

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Intorno a La vera storia della banda Hood

Quando scrivo di un romanzo che mi è piaciuto, la cosa che temo di più è rovinare la sorpresa di chi ancora non ha letto il libro in questione. In poche parole “fare spoiler”. Mi è capitato di mettere l’avviso, ma resta una cosa antipatica, sia fare spoiler che evitare alcuni percorsi per timore di svelare troppo. Ad ogni modo il libro La vera storia della banda Hood è un libro prezioso, che racconta una storia che non ci si stanca mai di rileggere e riascoltare e che è – allo stesso tempo – una bella riscrittura del mito: quello di Robin Hood e dei suoi allegri compari, per restare alla vulgata delle trasposizioni cinematografiche. Il mito di Robin Hood è intrecciato con il desiderio di giustizia, e vendetta. E il motto di rubare a ricchi per dare ai poveri viene subito in mente, a chiunque conosca la storia. Quindi nel momento in cui ho saputo dell’imminente uscita del libro di Wu ming 4, le mie antenne di lettore si sono subito attivate.

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Appunti su Canzoniere storto

Scrivere poesie è una delle cose più difficili da fare, pericolosa anche. Fa un po’ tristezza vedere che di questi tempi gli si dia poca importanza. Almeno così mi pare, anche se in musica – nel rap ad esempio – si scrive facendo attenzione alla rima, al ritmo quantomeno. Ma è un altro discorso. A ogni modo, se c’è chi non legge, non ascolta, non si cura della poesia, beh allora – mi dico – non sa cosa si perde e se ha anche una opinione in merito, non sa di cosa sta parlando. Perché se è vero che il linguaggio è lo strumento più potente fra gli strumenti creati dall’animale umano, la poesia è lavoro con e sul linguaggio. Lavoro svolto per andare oltre l’apparenza del mondo, per far emergere quantomeno un minimo di senso dal quotidiano, per creare momenti di svelamento e meraviglia, per risignificare il mondo. E si potrebbe andare avanti. La cosa fondamentale è prendere atto che mentre il linguaggio – lo strumento per eccellenza – viene banalizzato dai media, dai giornali ai social network, c’è chi se ne prende ancora cura. Ho letto la raccolta di poesie Canzoniere storto di Ernesto Orrico, e dire che mi è piaciuta è poco e non rende giustizia al lavoro di scrittura. Così ho messo un po’ d’ordine fra gli appunti presi negli ultimi due mesi, più o meno, mentre viaggiavo tra casa, lavoro e l’istituto di lingue dove sto frequentando un altro corso di tedesco, spesso mentre ero immerso nella lettura – e rilettura – del libro di poesie di Ernesto, oppure quando il libro era via tra gli altri nella borsa mentre camminavo per le strade della mia città e arrivavano i ricordi, le giustapposizioni, i collegamenti fra libri, voci, suoni e versi di materia e memoria presente, viva, pulsante. E perciò mi fermavo per fissare su carta alcune frasi, che riporto ora su questo supporto inconsistente.

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P38 Gang – una riflessione

  “La libertà di filosofare e di dire ciò che sentiamo: difendere la libertà in ogni modo, libertà che è in ogni modo compromessa dall’eccessiva autorità e invadenza dei predicatori” – Spinoza

 

Cosa fa il rap, come spiegarlo ai bianchi?

La musica rap ha una storia lunga qualche decennio – dagli anni ’80 del 900 – e le sue origini affondano nelle profondità della cultura nera americana. Nel 1989 uscì il libro Signifyng Rapper (traduzione italiana: Il rap spiegato ai bianchi, ed. minimumfax, 2000) di D.F. Wallace e M. Costello, in cui i due autori tentavano di dare una spiegazione articolata del fenomeno del rap/hip hop. Il libro è ancora attuale pur restando un’opera fortemente legata al periodo storico in cui fu scritta e uno dei punti focali è che la musica rap è musica di strada e racconta di vita cruda (che spesso è di merda). E’ musica che non ha melodia, ha testi che possono offendere e dà voce a chi voce non ha.

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Appunti su La morte, la fanciulla e l’orco rosso di Nicoletta Bourbaki

 

“Credere che parlando di storia non stiamo facendo narrazione è tanto sbagliato quanto pensare che facendo narrazione non stiamo parlando di storia.” Joan Fontcuberta

Il cosiddetto “Caso Ghersi”, storiaccia in cui i partigiani sono stati raccontati come assassini e stupratori viene affrontato, analizzato e risolto ne La morte, la fanciulla e l’orco rosso, primo libro scritto dal collettivo di ricerca storica Nicoletta Bourbaki. Non si poteva sperare esordio migliore. Quasi trecento pagine che scorrono via mentre i neuroni vengono risvegliati e rimessi in moto. Trecento pagine di racconto, analisi, riscontri di dati e documenti d’archivio sapientemente miscelati e composti per smontare una storia rivoltante e antipartigiana. Pagine che sono un condensato di magia letteraria in cui ritroviamo rigorosa ricerca storia, analisi narratologica e racconto. Un piccolo prodigio.

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Appunti su UFO 78 di Wu Ming

Faccio un po’ di ordine fra i miei appunti, per quanto mi riesce;

Nel maggio del 1978 avevo meno di due anni, quindi non so niente del clima da assedio, dei posti di blocco per le strade, del martellamento mediatico sulla linea della fermezza, della claustrofobia dei 55 giorni del sequestro Moro. Non ne so niente ma avendo vissuto gli anni del confinamento nel “periodo Covid”, avendo visto i posti di blocco per le strade, eserciti a pattugliare confini, persone inseguite e fermate perché stavano facendo una passeggiata o una corsa in spiaggia, avendo saputo di delazioni fra vicini, elicotteri in volo a caccia di “untori”, di paranoia e ipoconria e del disgustoso martellamento mediatico del biennio Covid, non faccio troppa fatica a immaginare il clima.

Leggendo l’ultima fatica di Wu Ming si capisce che il 1978 fu l’anno in cui iniziò il nostro presente.

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