yamunin

Non c’è giorno senza sangue

Nell’anno mio trentaquattresimo di vita

nel momento dell’apparente stasi

nel paese in necrosi

bevuto fino in fondo il bicchiere

della passata gioventù

mi esercito a far di conto…

approssimativo.

(l’editor mio interiore e tiranno

è già pronto a dir che questa

è sconveniente cosa

è mediocre esibizione

e perciò da cestinare

senza pietà

ma il tempo non…

è dalla mia parte

gli sputo in faccia

levo gli ormeggi)

Sento prematura vecchiezza

– maturità si dice-

farsi largo con forza

una potenza che non vi fu

un lustro fa

ed eccomi a guardare nello specchio

e dire che non c’è tempo,

lasciare andare e far invecchiare.

E ora nell’anno duemiladieci in cui

fallirono progetti e intenzioni

in questa estate nella torino

del centocinquantenario che non conta

fra turisti e movida d’accatto

con l’affitto arretrato

la famiglia da mantenere

col morso ai denti e

senza collare (come Villar secoli fa)

medito atti per non fallire conti.

Non ho lacrime da versare in pubblico

non più recito edipo

non ho scherzi per bambini

né naso rosso e palloncini,

non più,

non ho commissioni

né sbagli altrui da aggiustare

né luci da creare,

son chiusi i teatri

quest’anno son blindati.

Se l’amor patrio di molti

teatranti non fosse sbocciato

ci sarebbe speranza

ci sarebbe forse stato bagliore

di un’arte non genuflessa

ma i finanziamenti si sa

son questioni di panza

son indirizzati

e se la bolletta incombe è facile

esser sviati.

Ma star a dire del passato

è parlare ai vermi

dice Ferdinand

e non ho niente da dire

sulle mie cose che furono,

cose fra le tante cose.

Il niente di adesso mi incuriosisce

questo incerto vuoto a cui

i vecchi d’Italia han condannato

chi resta e chi verrà,

(i vecchi intendo

quelli di sempre

i signori della guerra

dietro la linea del fronte al sicuro

quelli che gonfiano ancora oggi il petto

quelli con la voce stridula

che esorbitano esorbitano fino

a schiattare con nazioni intere

quelli con le stellette e le

facce mortuarie

quelli col vestito bianco da millenni

quelli che ridono sempre dei morti

-i soliti otto-

che guardarono morire un ragazzo

uno nella mattanza di una città)

Questo niente

in cui si annullano

lauree diplomi da scuola dell’obbligo

il nulla da benessere da discount

un niente da prima serata

con luci al neon

che fiaccano  passioni…

Questo niente

di strade senza popolo

senza lotta,

il franchising del nulla interinale.

Un bip all’ingresso del niente.

Un open space tappezzato di bugie.

Nell’anno scritto poco su

non piango la mia gioventù

curo gli affetti,

correggo i miei sbagli,

vado avanti con la mia amica sorella amante

compagna di vita  e di lotta.

Come tanti sto nel mezzo del mio cammino

e guardo questo niente quotidiano

vivo i giorni, abito battaglie,

non c’è giorno senza sangue.

quotidiano.

l’orrore quotidiano è così debordante

ha luci al neon

luci di agenzie interinali

di supermercati

di aule formazioni e call center

il quotidiano è fatto di carta

di giornali nn riciclabili

è fatto di piombo d’inchiostro

di menzogne

l’orrore quotidiano di un paese da interpretare

dice genna

un popolo che non sa interpretare il suo orrore

quotidiano

banale

di gallerie commerciali.

pace. scrive genna.

pace dice il bimbo d’oro.

La Borto al Festival delle colline torinesi; appunti su uno spettacolo.

Turin, Cavallerizza reale – manica corta

22 Giugno ultima recita dello spettacolo La Borto di Scena Verticale al Festival delle colline torinesi; serata sold out con molte persone sedute sui gradini della sala. Molte donne. Il coraggio e la sapienza teatrale di Saverio La Ruina hanno fatto sì che riuscisse nella difficilissima operazione di riproporre, dopo il doppio premio ubu per dissonorata, uno spettacolo che ricalca una stessa struttura scenica: un monologo di una donna del sud interpretato da un attore con in scena un musicista. Monologo in dialetto calabrese (di Castrovillari per essere precisi, + o -) di musicale bellezza.

Ci sarebbe da dire molto sullo stile di recitazione di La Ruina, su come riesce a dar vita in scena a un femminile antico e dolcemente tragico (e riesca – ma forse esagero- a trascinare lo spettatore nel suo divenire-donna così da vivere della  stessa triste dolcezza che abita le nonne del Sud),  così come sull’equilibrio d’insieme degli elementi scenici: dalle musiche di Gianfranco De Franco che sostengo e amplificano ‘u cuntu con loop struggenti, al disegno luci preciso ed essenziale di Dario  De Luca.  (…)

Stessa struttura, dicevamo, e due spettacoli diversissimi, due personaggi diversi e ugualmente potenti recitati da un attore bravo come pochi oggi in Italia. Il rischio, altissimo, di ripetere qualcosa di già fatto viene superato grazie al fatto che la storia è di una potenza pari a quella di Dissonorata e la struttura drammaturgica riesce a dosare saggiamente i tempi e i modi in cui lo spettatore viene affascinato dalla storia, reso partecipe, fino al punto di provare dolore. Questo è quello che mi è successo. Sentirmi preso in una morsa teatrale d’antica sapienza ( un giusto equilibrio di pieni e vuoti della narrazione, delle posture del corpo, della musica) grazie alla quale è possibile – le rare volte che accade oggi a teatro – provare empatia con il personaggio (o con l’attore/il dramma/ gli affetti della musica etc etc etc) e sviluppare un pensiero critico (fondato su un affetto vero)  su ciò che è il senso dello spettacolo che si sta vedendo/ascoltando.

Peccato non ci fosse nessun prete. Peccato non ci fosse nessun anti-abortista e nessun leghista.

Qui di seguito il link alla scheda e alla rassegna stampa di La Borto

http://www.scenaverticale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=49%3Ala-borto&catid=1%3Aspettacoli&Itemid=70&lang=it

” (…)quando si crea si resiste.” gilles deleuze

Riflessioni a margine del caso DL:

In teatro è normale compiere ‘elaborazioni drammaturgiche’, è normale dichiarare cosa si sta elaborando e a chi si deve qualcosa. Esperienza mia: ho elaborato un testo che sento mio, è iniziato come un esercizio di composizione a seguito della lettura di Viaggio a termine della notte di L. F. Céline. Ho selezionato alcune frasi, alcuni periodi, li ho montati e ho ottenuto una mia ‘visione’ delle prime 100 pagine del Viaggio. Dopodichè ho individuato un tema (i bambini soldato) ho letto altri libri, ho elaborato,  scritto e riscritto per circa un anno.  Il testo l’ho intitolato F.M. K., lo sento mio ma devo moltissimo ad almeno dieci scrittori, escluso Céline.

Non so se questo lavoro faccia di me un autore/creatore, a dir la verità non mi preme molto. Quello che mi preme, in quanto teatrante, è farne uno spettacolo. So, alla fine, che mi è costato una bella fatica e il risultato è mio ma il materiale di partenza no.

Durante la lettura dei post su Giap in merito al caso di DL mi son tornati in mente alcune frasi di Deleuze che si trovano in ABCedario (ed. Derive Approdi):

Sport: Ci sono due tipi di grandi campioni, che per me non hanno lo stesso valore, quelli che creano e quelli che non creano. I non creatori sono quelli che portano uno stile esistente a una potenza ineguagliata, ad esempio Lendl non è in sostanza un creatore, per il tennis.  poi i grandi creatori (…) quelli che inventano nuovi colpi, che introducono nuove tattiche e su questo si precipita ogni genere di imitatore. Ma i grandi stilisti sono degli inventori anche sul piano dello sport…

Questo per dire che, penso, sia questa una delle cose che mi urta dell’attegiamento di DL il fatto che abbia tentato,  e tenti ancora, di passare per un creatore quando, fosse stato sincero con il pubblico, con i suoi sostenitori accaniti, con i lettori del blog, avrebbe dovuto dire: sono un “campione della satira”, ho i miei maestri e da loro ho appreso ciò che vi dico e dirò.