racconti

Appunti su “Chav” di D. Hunter, un romanzo working class

Ho iniziato a leggere Chav due giorni fa in tarda mattinata e l’ho finito ieri pomeriggio. Lo avrei finito anche in meno tempo, se non avessi avuto altro da fare, e il motivo è questo: avevo bisogno di leggere una storia così: diretta, potente, vera. Perché in un periodo come questo una storia in cui il tema portante è la “solidarietà coatta” ci spinge a rivedere le nostre posizioni rispetto alla nostra classe sociale, alle persone che ne fanno parte; anche rispetto a noi stessi, se siamo “maschi bianchi eterosessuali a piede libero”, e analizzare ciò che stiamo facendo: combattiamo lo stato di cose o siamo passati dall’altra parte della barricata?

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Fear Inoculum

[Devo dare forma a quello che mi gira in testa, anche per questo motivo ho aperto questo blog. Anche se – come dire? – possono essere pensieri con cui posso trovarmi in parziale disaccordo. Per quanto siano miei di sicuro. E insomma dopo giorni e giorni e giorni di terrore a mezzo stampa, di gestione criminale di una emergenza sanitaria trasformata in laboratorio di controllo e reclusione sociale la rabbia va manifestata in qualche modo. Le righe che eseguono le ho scritte ieri notte 04/04. Oggi leggendo in rete le dichiarazioni di alcuni personaggi pubblici su sciarpe, foulard da indossare e chiese da aprire – dichiarazioni fatte mentre anche su di loro pesa la responsabilità della situazione devastante che c’è nelle RSA, negli ospedali… – beh – mi sono augurato davvero che abbiano in tasca una fialetta di cianuro per uso personale]

Immunity, long overdue
Contagion, I exhale you
Naive, I opened up to you
Venom and mania
Now, contagion, I exhale you

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Like cake in a crisis \ We’re bleeding out. Parte seconda.

[forse avrei dovuto pubblicarlo un paio di giorni fa queste righe, vista la velocità con cui si sta evolvendo la situazione, soprattutto in Italia. Ma tant’è. La prima parte la trovate qui]

A me piace stare a casa, è il posto dove ho i miei libri, i dischi, ciò che è parte di me. Mi piace restare a casa, ma solo fino a quando non sento che i muri iniziano a curvarsi e lo spazio intorno a me retringersi. E questo succede ogni giorno, anche più volte al giorno. In quel momento mollo tutto ed esco, non esiste altro che il bisogno dell’aria aperta e che fuori ci siano -15 0 35 gradi è uguale, devo uscire, andare via.

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Descrizioni, trascrizioni.

Gambe storte e corte, piedi a papera, pancia gonfia, pancia da birra, maglietta sudata, voce stridula; cammina come se si fosse appena cacato nei pantaloni; culo basso, braccia lunghe, gambe corte, bacino spostato in avanti, capelli corti e occhiali a specchio. Potrebbe essere una guardia, o un cameriere. Uno fra tanti. A scelta.

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Rage against…

La mia rabbia è quella di chi non ha nulla da perdere. Se non una vita intera. È la rabbia di chi si vede rubare la vita. Giorno per giorno, intera, da chi ha tutto e prende ancora. La mia è una rabbia allo specchio, quella di chi ha capito tardi d’aver avuto soltanto una vita. E nient’altro.

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Il mare lontano.

Poco meno di un mese fa ho ricevuto un’email da Lou Palanca 3, era indirizzata a un gruppo di narratrici, narratori, intellettuali, artiste e artisti calabresi. Ci invitava a sostenere pubblicamente i gestori dell’agriturismo ‘A Lanterna di Monasterace (RC) che hanno subito sette attentati in sette anni, l’ultimo poco tempo fa.
Di seguito trovate il racconto che ho scritto e che dedico a chi resiste in Calabria, con ogni mezzo necessario.
Buona lettura.

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Torino – Firenze A/R [ prima pagina del racconto pubblicato su Lo straniero]

L’impressione che ho è che le città inizino ad assomigliarsi un po’ tutte, a partire dalle stazioni ferroviarie. Sarà forse perché una volta scesi dal treno ci si ritrova davanti bar, negozi e librerie che fanno parte di catene commerciali. Stessi marchi, stesse vetrine, stessi prodotti un po’ ovunque.
La tendenza è verso un modello commerciale che rende i centri delle città interscambiabili tra loro, nella sostanza.

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Scaramouche, #teatro e rivolta.

Ciò che segue è un omaggio all’attore Leo Modonnét – e alla maschera di Scaramouche – le cui gesta sono narrate ne L’Armata dei sonnambuli. Ogni somiglianza a fatti e/o persone è da ritenersi casuale, per quanto la situazione teatrale italiana renda verosimile e plausibile ciò che è qui narrato. Buona lettura.

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